Con Margherita Guidacci riaffiora Eliot
Sono convinto che T.S. Eliot sia il più grande poeta della contemporaneità e perciò negli anni passati gli ho dedicato per tre volte un corso semestrale sui suoi Quattro Quartetti, che considero, con La terra desolata dello stesso autore, il vertice della poesia nel XX secolo. Gli studenti si sono infatti dimostrati interessati e grati, io stesso ho potuto maturare la conoscenza della predetta opera fino a tradurne i quasi novecento versi. Ma mi dicevo: chi oggi in Italia conosce, legge, capisce quest’opera dimenticata?! E aggiungevo: proprio nel suo essere non più capita e dimenticata si specchia la miserabile situazione culturale di oggi. A conferma e parziale conforto riemerge ora dalle brume di un altro e conseguente colpevole oblio il bel libro che Margherita Guidacci, poetessa vera e a sua volta dimenticata (l’ho antologizzata nel Novecento letterario edito da Città Nuova), dedicò nel 1975 al poeta angloamericano (edizioni Ipl), ora completato, aggiornato e ristampato per le cure della poetessa Maura Del Serra da una piccola coraggiosa editrice pistoiese dalla denominazione dolce e ironica petite plaisance (piccola, casa di campagna) – nella nostra situazione di totalmente false grandezze bestselleristiche solo le piccolezze rischiano, ed è il caso di usare questo verbo, di condurre e comunicare bellezza-verità. Questo libro Il fuoco e la rosa (supremi simboli-realtà eliotiani) è una miniera: si apre con la magnificamente poetica traduzione guidacciana dei Quartetti (testo a fronte); e lo dico io che preferisco sempre una traduzione quanto più possibile letterale che faccia solo da piano inclinato per l’ambientamento nel testo stesso. Ma questa traduzione, ancorché qua e là discutibile, è bellissima, basta sentire come si apre e si chiude: Il presente e il passato/ Son forse entrambi presenti nel futuro,/ E il futuro racchiuso nel passato./ Se ogni tempo è eternamente presente/ Nessun tempo offre scampo.(…) Ogni sorta di cosa sarà buona/ Quando lingue di fiamma si uniranno/ Nel coronato nodo di fuoco/ E il fuoco sarà uno con la rosa. Poi si spiega, prima dell’ultima parte che contiene l’aggiornata, totale bibliografia di e sull’autrice, il ventaglio dei saggi su Eliot, cento pagine di godimento culturale-spirituale di fronte a un tale felice incontro tra l’intelligenza poetica cristiana di Eliot e quella di Margherita Guidacci simpateticamente poetica e cristiana: acume e sim-patia (nel pieno senso greco del vocabolo) sfuggenti ai nostri stagni emozionali putridi e sterili. La Guidacci incontra Eliot proprio nell’attiva predilezione di una poesia capace di parlare tutt’insieme all’intelletto e ai sensi, capace di dare, come dice Eliot, una percezione sensibile del pensiero (sensuous apprehension of thought). I due saggi più importanti sono quello sui Quartetti e l’Embriologia della Waste Land, in cui la Terra desolata è studiata con interessanti analisi del suo sviluppo fetale: crescita, decantazione, prosciugamento, riduzione all’essenziale. Il poemetto della giovinezza (1922) illumina nella sua tormentata genesi il drammatico percorso spirituale del poeta, dalle accertate rovine e macerie culturali a un’ansia di salvezza che la produzione posteriore declina in confessione e preghiera, e i Quartetti (1944) porteranno a perfezione purgatoriale- pa-radisiaca. Per non naufragare miseramente in un simile tentativo di autenticità uma-na-spirituale non fuori dal mondo ma attraverso di esso, la sua enorme problematicità, occorreva avere sempre più di mira qualcosa, dice la Guidacci, che è al di là della poesia, sebbene attraverso la poesia si comunichi ; o, come dice splendidamente Eliot proprio a proposito dei Quartetti, Scrivere della poesia che sia essenzialmente poesia, senza nulla di poetico, poesia che si regga nuda sul suo nudo scheletro, o poesia così trasparente che leggendola siamo intenti a ciò che la poesia ci indica e non alla poesia: questo mi sembra il fine a cui dobbiamo tendere. Giungere di là dalla poesia, come Beethoven nelle sue ultime composizioni si sforzò di giungere di là dalla musica. Ora non è il caso di scendere in particolari troppo impegnativi. La Guidacci introduce da par suo a un’opera di densa e profonda complessità (io la frequento da decenni), che nutre come poche altre concepite nei secoli recenti. E non è né strano né un caso che le affinità che legano la poetessa al poeta siano state anche, in Italia, il motivo stesso della marginalizzazione della poetessa fiorentina (e poi di Eliot stesso), altrettanto lunga quanto la scristianizzazione progressiva di questi anni. Quanto al suo libro, se il lettore di questa recensione farà la sua piccola e un po’ impegnativa ricerca di un libro non certo da vendita dozzinale, mi ringrazierà.