Con le cellule staminali manipolate, i genitori possono donare il midollo ai figli
È l'ultima frontiera del trapianto di cellule staminali. Una nuova tecnica di manipolazione cellulare messa a punto dai ricercatori dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e applicata per la prima volta al mondo nell'ospedale della Santa Sede su bambini colpiti da immunodeficienze severe, rare malattie genetiche dell'infanzia, leucemie e tumori del sangue. Anche in assenza di un donatore completamente compatibile, la nuova tecnica rende possibile il trapianto di midollo da uno dei 2 genitori con percentuali di guarigione sovrapponibili a quelle ottenute utilizzando un donatore perfettamente idoneo.
I risultati eccezionali di questa sperimentazione – potenzialmente applicabile a centinaia di bambini in Italia e nel mondo – sono stati ora pubblicati sul sito della rivista scientifica internazionale Blood, giornale di punta in campo ematologico e trapiantologico, con riferimento ai casi di immunodeficienze e malattie genetiche. Per l'applicazione nel campo delle leucemie, la tecnica messa a punto dall'équipe di. Franco Locatelli, responsabile di Oncoematologia e Medicina Trasfusionale al Bambino Gesù, è stata presentata lo scorso dicembre a New Orleans nel corso del congresso della Società Americana di Ematologia (ASH).
Il trapianto di cellule staminali del sangue rappresenta una terapia salvavita per un elevato numero di pazienti pediatrici affetti da leucemia o da altri tumori del sangue, così come per bambini che nascono senza adeguate difese del sistema immunitario o con un'incapacità a formare adeguatamente i globuli rossi (malattia talassemica). Per tanti anni, l'unico donatore impiegato è stato un fratello o una sorella immunogeneticamente compatibile con il paziente. Ma la possibilità che due fratelli siano identici tra loro è solamente del 25 per cento. Per ovviare a questa limitazione, sono stati creati i registri dei donatori volontari di midollo osseo che arruolano ormai più di 20 milioni di donatori e le banche di raccolta e conservazione del sangue placentare.
A dispetto di questi numeri, esiste un 30-40 per cento di pazienti che non trovano un donatore idoneo o che hanno un'urgenza di essere avviati al trapianto in tempi non compatibili con quelli necessari a identificare un donatore al di fuori dell'ambito familiare. Con lo scopo di rispondere a questa "urgenza" terapeutica, negli ultimi 20 anni molto si è investito nell'utilizzo di uno dei due genitori come donatore di cellule staminali emopoietiche, per definizione, immunogeneticamente compatibile per il 50 per cento con il proprio figlio.
Tuttavia, l'utilizzo di queste cellule senza alcuna manipolazione rischia di causare gravi complicanze, potenzialmente fatali, correlate alla procedura trapiantologica stessa. Per questo motivo, fino a pochi anni fa, si utilizzava un metodo di 'purificazione' di queste cellule che garantiva una buona percentuale di successo del trapianto (attecchimento) ma che, sfortunatamente, si associava ad un elevato rischio infettivo soprattutto nei primi mesi dopo il trapianto con un'elevata incidenza di mortalità. Come risultato finale, i trapianti da uno dei due genitori avevano una probabilità di successo significativamente inferiore a quella ottenibile impiegando come donatore un fratello o una sorella, o un soggetto identificato al di fuori dell'ambito familiare.
Negli ultimi anni, i ricercatori del Bambino Gesù hanno dedicato i loro sforzi a mettere a punto una nuova tecnica di manipolazione delle cellule staminali che permette di eliminare le cellule cattive (linfociti T alfa/beta+), responsabili dello sviluppo di complicanze legate all'aggressione da parte di cellule del donatore sui tessuti del ricevente (Graft versus host disease), lasciando però elevate quantità di cellule buone (linfociti T gamma/delta+, cellule Natural Killer), capaci di proteggere il bambino da infezioni severe soprattutto nei primi 4 mesi dopo il trapianto.
Questa innovativa procedura di trattamento cellulare – presentata sulla rivista Blood con la prima firma della dott.ssa Alice Bertaina – è stata sperimentata su 23 pazienti pediatrici affetti da patologie rare e diversamente fatali come l'Immunodeficienza Severa Combinata (SCID), l'Anemia di Fanconi, la Thalassemia Major e l'Anemia Aplastica Severa. I risultati dimostrano come la probabilità di cura definitiva per questi bambini sia del 90 per cento e cioè sovrapponibile a quella ottenuta utilizzando come donatore un fratello perfettamente compatibile. Inoltre, il rischio particolarmente basso di sviluppare complicanze a breve e lungo termine correlate al trapianto ottenuto grazie a questo nuovo approccio metodologico, rende questa procedura un traguardo solo pochi anni fa impensabile e, oggi, una realtà potenzialmente applicabile a centinaia di altri bambini nel mondo.