Con le ali dell’anima
Enzo Morandi è tra i pionieri dei Focolari in Brasile. Ci racconta come mai, un giorno, sia stato ribattezzato Volo.
Malgrado le sue origini trentine, e nonostante sia nato a Trento, i primi ricordi d’infanzia gli riportano alla mente i vasti orizzonti, la luce abbagliante, l’odore di salsedine, mirto e rosmarino della Sardegna.
La famiglia vi era approdata per il lavoro del padre, funzionario alle Ferrovie dello Stato. Enzo ricorda gli otto anni trascorsi a Cagliari come i più sereni della sua infanzia, allietati anche dalla nascita di un fratellino. Pochi mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, il padre venne spostato prima a Verona e, infine, a Trieste.
«Fu in quella città – dice Enzo – che cominciai a frequentare le scuole industriali: un indirizzo di studi a me congeniale, che sembrava potesse consentirmi di coltivare una naturale inclinazione che mi aveva portato fin da piccolo ad interessarmi a qualsiasi marchingegno in grado di funzionare. Inoltre – altro vantaggio per me a quel tempo – nelle industriali non era previsto lo studio del latino…».
Negli anni triestini ebbe anche modo di frequentare un primo corso di aeromodellismo che gli consentì di addentrarsi un po’ nel mondo delle macchine volanti, la sua vera, grande passione.
Nei primi anni, i fragori del conflitto erano ancora lontani. Finché, nell’aprile del 1944, inaspettatamente, ci fu in terribile bombardamento sulla città, che fece molte vittime. «Mio padre decise di trasferirci presso alcuni parenti a Tione, nel Trentino. Finalmente ci sentivamo al sicuro! Non lui che, malgrado non fosse più giovanissimo, era stato richiamato alle armi. E proprio alla fine della guerra, come un fulmine a ciel sereno, ci giunse la notizia della sua morte improvvisa».
La famiglia si stabilì a Rovereto. Il primogenito Enzo si rimboccò le maniche. Conclusi gli studi, si mise alla ricerca di un lavoro. Fortunatamente, fu assunto come disegnatore tecnico in una impresa metalmeccanica nei pressi della sua abitazione. «Con quale orgoglio e punta di commozione consegnai alla mamma la mia prima busta-paga!».
Col rifiorire della vita sociale, ebbe modo in quegli anni di riprendere l’antica passione per il volo, partecipando con i suoi aeromodelli a varie gare anche di carattere nazionale. Col tempo passò dagli aeromodelli agli alianti: un’idea lungamente accarezzata! Occorrevano però i fondi per la realizzazione del progetto: troppi, per le sue tasche. Ma anche qui non si perse d’animo: assieme ad alcuni amici, appassionati come lui di aviazione, organizzò una campagna presso ditte e privati e… i soldi arrivarono.
«Iniziò così – racconta –, tra il generale entusiasmo, la costruzione di un semplice aliante-scuola, di 11 metri di apertura alare. E mentre il velivolo prendeva forma ogni giorno di più, ci venne regalato un vecchio furgoncino, sul quale montammo un potente verricello da traino con un cavo lungo mille metri. Dopo sei mesi di paziente lavoro, arrivò finalmente il giorno del collaudo in volo. In un luminoso mattino di settembre, ci trasferimmo sulla pista erbosa dell’aeroporto di Gardolo presso Trento. L’aliante odorava di vernice e brillava al sole, mentre il verricello sul furgoncino srotolava il lungo cavo. Un rapido accenno di bandierine colorate e, trainato dal cavo, l’aliante cominciò a muoversi, dapprima goffo e pesante, poi sempre più leggero, fino a staccarsi da terra con la sicurezza e la grazia di chi ha trovato finalmente il suo naturale elemento».
Tutti volevano provare la sensazione di staccarsi da terra, fosse anche soltanto di una spanna. «Quando arrivò il mio turno, data l’assenza di un qualsiasi abitacolo, mi sorprese il forte impatto del vento, il sibilo dei tiranti di acciaio, il prato che scivolava velocissimo sotto il pattino sobbalzante. E, infine, l’improvvisa assenza di vibrazioni, dopo il distacco da terra, in una pace perfetta».
Ma questo fu soltanto l’inizio: in seguito ottenne il brevetto di pilotaggio per aerei a motore, frequentando il primo corso organizzato dall’aeroclub di Trento alla fine della guerra.
Nel 1952, a ventun anni appena compiuti, la vita di Enzo correva ormai sui binari di un’operosa normalità, tra casa, lavoro, aeroclub, escursioni in montagna d’estate e d’inverno.
Venne infine anche il fidanzamento con Nuccia. L’incontro con questa giovane, come talvolta accade, favorì un avvicinamento a Cristo e alla vita della Chiesa. Con lei condivideva la passione per la montagna ed anche per il volo, sorvolando insieme gli splendidi paesaggi alpini.
Un pomeriggio di domenica, Nuccia propose al fidanzato di accompagnarla da alcune amiche. Erano tre: Bruna, un’insegnante di Trento, dai vivacissimi occhi scuri, e due sorelle di Rovereto, Dina e Violetta, diversissime tra loro. «Dopo le prime battute – racconta – mi resi conto, con una certa sorpresa, che ambedue avevano lasciato da poco la famiglia, per andare a vivere con Bruna in quell’appartamentino preso in affitto. Questo fatto suscitò subito una certa curiosità, mista a simpatia. Venni a scoprire che il motivo di quella convivenza era tutto spirituale: esso nasceva – come mi spiegarono – dal desiderio di “incarnare il Vangelo ventiquattro ore su ventiquattro”. Restai di stucco per il modo in cui quelle semplici ragazze, mie coetanee, parlavano, direi, così espressamente della loro scelta di Dio».
A quel primo contatto, ne seguirono molti altri. «Per farla breve, mentre mi sentivo sempre più di casa nell’appartamento di via Campagnole, cresceva in me la conoscenza di una realtà spirituale densissima, di cui mai avrei potuto immaginare l’esistenza. Quella vita mi affascinava. Tanto che mi sembrava di aver trovato la “perla preziosa” per possedere la quale vale la pena di vendere tutto».
Fino ad allora, Enzo non avrebbe nemmeno potuto immaginare per sé una strada diversa dal matrimonio. Cominciò ad interrogarsi seriamente sul proprio futuro. «Il problema, evidentemente, non riguardava soltanto me e il mio rapporto con Dio, ma anche quello con la mia fidanzata. Decisi di affrontare con lei l’argomento. Dopo essere giunto, con tutto il tatto di cui ero capace, a renderla partecipe dei miei dubbi, avvertii, con una certa sorpresa, che anche lei stava vivendo un’esperienza simile alla mia. Era giunto il momento di riflettere, di pregare… Dopo qualche tempo e di comune accordo (non senza qualche luccicone) capimmo che era meglio cambiare decisamente rotta». Davanti alla loro vita, si era aperta la possibilità di intraprendere un cammino, non più a due, nel matrimonio, ma di personale donazione a Dio nel movimento.
Anche l’esperienza, così coinvolgente e ricca di fascino, del volo su ali di tela, per la quale aveva speso tante energie, era passata in secondo piano. Ciò che in fondo lo aveva spinto lassù, nella remota solitudine del cielo, era la sensazione di pace e di libertà che provava nel sentirsi immerso in una altra dimensione. Erano momenti, in cui gli pareva di trovarsi a tu per tu con l’autore di tanta bellezza. «Tuttavia, con l’ideale di vita che mi veniva proposto, avevo scoperto – dice – di poter trovare Dio nella concretezza del momento presente, nel lavoro quotidiano, in ogni prossimo che mi passava accanto… e questa, in verità, risultava un’esperienza ben più completa ed avvolgente».
Il nome “Volo” – con cui Enzo è ormai conosciuto nell’ambito dei Focolari – è legato ad un momento decisivo della sua vita: il suo primo incontro con Chiara Lubich, cui aveva comunicato le ultime vicende e il suo desiderio di consacrazione a Dio. Lei volle incontrarlo di persona per conoscerlo meglio. Fu un colloquio breve, ma intenso e profondo. Voleva accertarsi che la sua scelta fosse dettata solo da motivi soprannaturali, e che fosse solida, ben radicata. «Mi domandò – ricorda Enzo – se ero consapevole di chi stavo scegliendo. “Sì, certo – risposi, non senza una certa ingenua presunzione –, Gesù abbandonato!”. “Ma sai cosa vuol dire? – replicò –. Se, per esempio, ti ritrovassi un giorno in una terra lantana – in America supponiamo – e improvvisamente tutti coloro che fanno parte del movimento dovessero abbandonarti, tu, per l’amore a lui, dovresti trovare la forza di cominciare tutto di nuovo».
Allora non avrebbe immaginato la profondità di quelle parole. Ma dopo pochi anni, nel 1959, Enzo sarebbe partito col primo manipolo di focolarini che si stabilirono in Brasile. Anche oltroceano incominciava a diffondersi lo spirito dell’Unità. Enzo-Volo ormai vi rimase oltre trent’anni, contribuendo in prima persona alla formazione e consolidamento di questa importante porzione del movimento.
«Fu alla fine di quel colloquio, già sulla soglia di casa mentre stavo per uscire, che Chiara mi chiese se era vero che volavo… Le risposi che ormai, in vista del nuovo orientamento della mia vita, avevo cessato del tutto tale attività. “Bene”, mi rispose sorridendo; e forse intuendo quale peso avesse avuto per me fino allora questa attività soggiunse: “Allora ti chiamerai Volo…”. Quelle parole mi dettero ali nuove: potevo librarmi finalmente sopra le cose e spaziare in Dio, creatore del Tutto».