Con il cuore aperto
Il suo ufficio è un grande stanzone a piano terra, dietro il vescovado e la nunziatura, in cui lavorano una decina di persone separati da qualche paratia di vetro e plastica, in quella che appare una gioiosa confusione, ma nella quale ognuno ha suoi compiti ben precisi, come testimoniano i cartellini attaccati ad ogni box: amministrazione, coordinamento, servizio urgenze… Pupazzi di peluche, foto ricordo, ogni sorta di effetto personale rallegrano poi l’ambiente. Qui incontro Sleiman Saikali, manager della Caritas Turchia, che in questi ultimi anni ha avuto un grande sviluppo, soprattutto a causa della sua intraprendenza e della sua naturale simpatia. Libanese, sulla trentina che matura, è sposato con Tuna, una ragazza turca conosciuta proprio alla Caritas, e un figlio. Ma, come si conviene ad un’opera caritativa, gli uffici sono solo un passaggio organizzativo necessario, e poco di più. Così saliamo subito sopra l’ufficio, dove i salesiani hanno permesso l’apertura di uno dei servizi più interessanti, e cioè una scuola elementare per i bambini iracheni di famiglie di profughi. Per gli adolescenti vi sono corsi di recupero. Sono tutti cristiani, questi iracheni, fuggiti in questi anni soprattutto dal nord del paese, perché non riuscivano più a vivere già dal periodo sotto Saddam Hussein ma, soprattutto, dopo l’inizio dell’ultima guerra e il pericolo di vita che grava sulle popolazioni locali. Quasi tutte queste famiglie di profughi sono ancora in attesa del riconoscimento del loro status giuridico di rifugiati, ma la scuola può funzionare egualmente. Le lezioni sono assicurate da giovani maestre anch’esse di origine irachena, che svolgono il loro compito con grande serietà e impegno. I bambini e i ragazzi che escono di qui hanno una buona preparazione, anche informatica, che permette loro di avanzare negli studi o di trovare un lavoro. Per i rifugiati iracheni, la Caritas assicura servizi sanitari e socio economici, soprattutto per le donne, e di formazione professionale, per i giovani. La Caritas Turchia, che agisce sotto l’ombrello della nunziatura, ha conosciuto negli ultimi tempi uno sviluppo impensato, in particolare a partire dal terremoto del 1999 che ha colpito soprattutto la regione ad est di Istanbul. Prima negli uffici al piano terra della nunziatura ci stavano bene, in tre o quattro. Aiutavano qualche cristiano in difficoltà, provvedevano ai bisogni delle tre diocesi. Aiutare chi non era cristiano? Non era all’ordine del giorno. Ma quel 17 agosto 1999, a Izmit, tante cose sono cambiate. Le Caritas nazionali, che vedevano la loro omologa turca come un soggetto sonnecchiante, non credano ai loro occhi: anche a Istanbul si lavorava. Nei primi due mesi di emergenza, la Caritas Turchia ha assistito e dato un ricovero a 20 mila persone, con pochi soldi in cassa, in certo modo credendo solo alla provvidenza, che è puntualmente arrivata dalle altre Caritas nazionali europee, dopo un primo intervento della Caritas internationalis e Caritas Mona (Medio Oriente e Africa del Nord). Il secondo terremoto, quello del novembre dello stesso anno, ha confermato la scelta di campo della Caritas Turchia: nessuna distinzione a priori tra fedeli di religioni diverse di fronte alla sofferenza. E allora, via con le coperte, le tende, il cibo, le medicine, l’assistenza sanitaria, le misure d’igiene. Tutto quanto era necessario, fino agli estintori, perché una delle cause di forte mortalità dopo il primo terremoto era stata quella dell’incendio nei campi di soccorso. Siamo così passati da 8 persone in tutta la Turchia a 24 – precisa Sleiman -. Certo, all’inizio tutto è andato bene: quando si è nel bisogno immediato non si guarda da chi venga la mano che si tende in soccorso. Se queste mani erano quelle della trentina di giovani cristiani che avevano voluto partire nei luoghi della catastrofe naturale, nessun musulmano aveva fiatato. Anzi, la riconoscenza era forte. E così la sorpresa: per via dei preconcetti, tanti erano coloro che ritenevano che i cristiani fossero gente bieca, che fossero rimasti alle diatribe di potere dei tempi di Bisanzio e Costantinopoli, che consideravano tutti i fedeli di altre religioni come esseri inferiori. Tutto bene, una collaborazione senza croci o mezzelune inalberate a difesa del proprio credo. Poi l’emergenza è finita. Due problemi inattesi ci si sono presentati dinanzi, dopo tanti sforzi messi in atto, notti perse e energie profuse. Da una parte alcuni cristiani hanno cominciato a protestare, perché i soldi della Caritas andavano ai musulmani, e secondo loro non si provvedeva ai bisogni della comunità cristiana. Dall’altra, delle lobby hanno cominciato a orchestrare delle campagne stampa contro di noi: ci accusavano di proselitismo, di distribuire gratuitamente Bibbie stampate in turco con dentro biglietti da cento dollari… Fantascienza! Fortunatamente le diverse contestazioni sono finite, e siamo riusciti a convincere delle nostre buone ragioni sia i nostri fratelli cristiani, sia dei deputati del partito ora al governo, che ci hanno spiegato come con tali campagne si volesse negare la possibilità di fare del bene gratuitamente. Anche un amico avvocato musulmano, che da qualche tempo lavora con noi, ci ha aiutati a trovare i contatti giusti. Ora le polemiche sono scemate, e abbiamo ripreso il nostro lavoro seriamente: mi sembra infatti che si sia capito che noi non vogliamo tanto lavorare per i musulmani, quanto coi musulmani, come testimonia il fatto che quasi tutte le nostre azioni di aiuto e di intervento vengono svolte in collaborazione con associazioni caritative musulmane . Tra l’altro, per ovviare a possibili accuse, la Caritas Turchia fa tutto alla luce del sole, con il controllo e l’accompagnamento fraterno continuo delle Caritas tedesca, italiana, francese, spagnola e altre ancora. In occasione degli atti terroristici del novembre 2003, non ci sono state azioni particolari, perché la macchina statale dei soccorsi ha funzionato in modo perfetto. Tuttavia – continua Sleiman – abbiamo avviato qualche attività di soccorso per la Chiesa caldea, colpita direttamente negli attentati, assicurando poi la riparazione di tutti i danni. Ecco, l’ecumenismo: È questo un altro scopo della Caritas Turchia, in una nazione dove la convivenza tra le diverse confessioni cristiane è di lunga data. I nostri rapporti con i patriarcati e le metropolie sono buoni, anche perché per noi è evidente come si debba essere uniti di fronte alla sofferenza della gente e all’emergenza umanitaria: molti dei nostri aiuti vanno ai poveri ortodossi o armeni apostolici, dai quali pure noi possiamo imparare come servire gli altri. Prova ne sia la costituzione, dopo il terremoto del 1999, di un gruppo, chiamato Tact, Turkish Action of Churches Together, che ha lavorato egregiamente, come testimonia il fatto che ci siamo recati sul posto assieme al patriarca ecumenico greco-ortodosso Bartolomeo I e a quello armenoapostolico Mesrob II. Il primo ha detto in quell’occasione: La sofferenza dell’uomo ci rende fratelli. Michele Zanzucchi