Con chi morire?

A proposito dell'articolo "Con i malati terminali", pubblicato sul n° 1/2010.
Sanità

In famiglia «Lavoro in una struttura per anziani affetti da malattie croniche; qui la morte è un evento frequente. Ogni malato, però, per quanto consumato dalla malattia, rimane una persona unica ed irripetibile. Abbiamo deciso, perciò, con una collega, di spostare l’ottica dell’intervento dal curare la malattia al prendersi cura della persona.

«Il progetto, approvato dalla direzione, ha previsto, per gli operatori sanitari, incontri su etica di fine vita, con discussione di casi clinici, e un percorso psicologico con colloqui individuali e di gruppo. Si è anche aumentata la frequenza delle visite al letto del malato da parte dell’equipe. L’efficacia del sapere professionale è potenziata dall’alleanza operatore-malato-famiglia, quasi a suggellare un “patto di non abbandono” con il paziente che così vive l’evento morte come fosse in famiglia».

Alberto

 

La morte amica «Di fronte alla morte l’uomo si è posto un’unica domanda: che senso ha? Il malato trova una risposta nel sentirsi amato, in un rapporto dove la sofferenza non è un problema da risolvere o che fa orrore ma un mistero da vivere e condividere. La morte amica: questa in sintesi l’esperienza di due anni con due malati terminali: mio padre e mio marito. Due lunghi anni vissuti per accompagnare i miei cari, nel rispetto della loro dignità di uomini e malati.

«Ma Dio dov’era? Una domanda non gridata ma sofferta silenziosamente. Il dolore può però aprire sentieri sconosciuti e produrre frutti inimmaginati».

Brunella

 

Solitudine «In una ricerca che sto facendo all’università ho potuto intervistare diverse persone colpite da una patologia di tipo degenerativo in fase avanzata. Ho riscontrato che il principale dolore e problema consiste nella carenza di vicinanza spirituale, umana e affettiva. Difatti spesso i familiari sono spaventati, disorientati, deleganti. Gli operatori sono trascinati da logiche di efficientismo e contenimento dei costi. Alcuni di questi malati hanno già fatto il testamento biologico, perché affermano di non voler essere di peso a nessuno. Chi chiede l’eutanasia, però, la chiede non tanto per l’insopportabilità del dolore, ma per paura di essere abbandonato, non capito, di peso. Anzi, il dolore diventa angoscia e agonia proprio a causa della solitudine morale e spirituale, oltre che fisica».

Mariangela

 

Pensare in positivo «Laura soffriva nel vedere noi assisterla, per questo si sforzava di non lamentarsi e spesso mi diceva: “Papà devi avere più fede e pensare in positivo”. In famiglia quando vedeva dei disaccordi era sempre lei che ricomponeva l’unità e metteva la pace. Ora è partita per il Paradiso».

Bruno

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