Comunisti e fascisti a battesimo
Cento anni fa, nel 1921, il sistema dei partiti, su cui ancora si regge la nostra vita politica, registrava un momento importante, con la nascita di due formazioni nuove, destinate nel bene e nel male a incidere nella storia del nostro Paese. Parlo del Partito Comunista Italiano e del Partito Nazionale Fascista, nati l’uno a gennaio e l’altro a dicembre del ’21, entrambi ormai ufficialmente scomparsi, il primo nel ’91, il secondo fin dal ’43. Oggetto ambedue, per dirla col poeta, «di inestiguibil odio e d’indomato amor».
Mentre la classe dirigente liberale, simboleggiata da Giolitti, era in declino, ormai propensa ad arrendersi senza combattere alla marea montante del fascismo mussoliniano, i socialisti continuavano invece a lottare. Sul fronte esterno, per contrastare i fascisti e difendere gli interessi di operai e contadini, e su quello interno, per superare le divisioni, profonde e paralizzanti, fra le troppe componenti del partito. C’erano infatti i socialisti unitari di Filippo Turati (tra loro nel ’24 ci sarà l’eroe della libertà Giacomo Matteotti), che miravano ad allearsi con i popolari cattolici e i liberali più avveduti.
A questa “destra” interna si opponevano i massimalisti di Giacinto Menotti Serrati, decisi a proseguire le dure lotte sociali nelle fabbriche e nelle campagne, guardando alla neonata Unione Sovietica e alla rivoluzione bolscevica. Infine a sinistra i futuri comunisti, come già si chiamavano “leninisticamente”, che annoveravano nelle loro file ideologi e uomini d’azione tutti d’un pezzo come Amedeo Bordiga, il leader, Antonio Gramsci, del torinese Ordine Nuovo, Umberto Terracini e altri. In pratica questa sinistra estrema del Psi non voleva ispirarsi solo col cuore e con la mente alla rivoluzione russa, ma collegarvisi nei programmi e nell’azione politica.
Tant’è vero che i neonati comunisti italiani giunsero al 17° Congresso del Psi, inaugurato il 15 gennaio 1921 al teatro Goldoni di Livorno, già come “emissari” del Comintern (la 3a Internazionale Comunista, voluta dall’Urss), decisi a imporre al partito tutti i 21 punti redatti da Lenin, Trozski, Bucharin e gli altri capi della rivoluzione bolscevica. E tra questi il più duro da mandar giù era la cacciata dei socialisti unitari dal Psi. I massimalisti titubarono, ma alla fine respinsero una parte dei 21 punti “sovietici”, in primis l’espulsione di Turati e della sua ala.
Al che, su ispirazione moscovita, la corrente comunista lasciò il Goldoni e si trasferì in un altro teatro livornese, il fatiscente San Marco, dove non c’erano neanche le sedie, e lì fondò il Partito Comunista d’Italia, che nasceva quindi come emanazione della 3a Internazionale e sarebbe diventato nel 1943 il Pci. Era il 21 gennaio 1921. Iniziava così un percorso politico tra i più lunghi e rilevanti nell’Italia del ’900: antifascismo, clandestinità, esilio, guerra di Spagna, Resistenza, Costituente repubblicana e così via. Percorso che si sarebbe concluso alla fine degli anni ’90, con lo scioglimento del Pci e la nascita del Partito Democratico della Sinistra (Pds), più tardi Democratici di Sinistra (Ds).
Sul fronte opposto sorgeva, sempre un secolo fa, l’altra entità politica anch’essa scomparsa. Il Partito Nazionale Fascista fu fondato a Roma il 7 novembre 1921, durante il 3° Congresso dei Fasci italiani di Combattimento, celebrato da Mussolini, i capi del movimento e centinaia di militanti, dal 7 al 10 novembre all’Augusteo, un teatro non più esistente presso l’Ara Pacis. Due anni prima il duce, attingendo ad arditi, nazionalisti, reduci delusi dalla pace di Versailles, disadattati e scontenti d’Italia, aveva fondato a Milano i Fasci di Combattimento, che durante il “biennio rosso” (1919-1920) avevano contrastato le lotte operaio-contadine, talora violente, distruggendo e incendiando giornali e sedi di partiti e sindacati e picchiando politici, intellettuali e anche preti.
Tipo il ferrarese don Minzoni, morto per le percosse come i laici Giovanni Amendola e Piero Gobetti. Tutto per eliminare la classe liberale già agonizzante, reprimere i partiti antifascisti e imporre un governo autoritario di destra guidato da Mussolini. Quindi il Congresso del Pnf negli intenti del duce doveva essere il primo del nuovo partito e l’ultimo dei Fasci del ’19, per sotterrare una volta per sempre lo squadrismo violento e lo strapotere dei ras (Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara…), rendersi accetti alla maggioranza degli italiani e condurre il Paese verso un regime dittatoriale. E infatti tra il ’21 e il ’26 il Pnf, non più movimento come i Fasci ma partito, fu lo strumento principe per accelerare il crollo della democrazia e la nascita dello Stato fascista totalitario. Che dopo aver soffocato la libertà per 15 anni avrebbe scagliato il Paese nell’inferno di una guerra sbagliata e rovinosa accanto al fuhrer tedesco, alunno dichiarato del duce italiano.
Così nel ’21 nacquero l’ultimo partito italiano dell’era liberale e il primo (e solo) dell’era fascista. Il ritorno alla democrazia, nel ’46, vedrà nuovi partiti, che promuoveranno la rinascita della libertà e del benessere. Più tardi entreranno in crisi: la denuncia della degenerazione partitica, sarà per anni sulla bocca di tutti. Oggi i partiti occupano ancora la scena, ma il loro credito è compromesso. Certi fenomeni si ripetono, come i movimenti che tendono a diventare partiti, fra mille ripensamenti. È il caso dei 5 Stelle, che però sono diversi da Fasci e Comunisti.
C’è bisogno di moralità, serietà e competenza nelle forze politiche, che forse dovrebbero ispirarsi ai leader della prima Repubblica. Benedetto Croce, De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa erano legatissimi ai propri partiti, ma seppero trascenderli per il bene comune.