Comunione e testimonianza

In Ecclesia in Medio Oriente papa Benedetto XVI assicura che vivere insieme non è un’utopia. Anzi, afferma, le religioni possono mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società
Benedetto XVI in Libano

Ecclesia in Medio Oriente, l’esortazione apostolica firmata da Benedetto XVI nei giorni scorsi, in occasione del suo viaggio in Libano, propone non solo una riflessione profonda sulla Chiesa in quella parte del mondo, ma offre spunti motivanti e prospettici anche alla Chiesa universale. Frutto del dibattito sinodale tenutosi nell’autunno del 2010, il documento, infatti, riporta il titolo stesso del Sinodo: Comunione e testimonianza, dimensioni che scandiscono lo svolgersi dell’intera esortazione.
 
Si tratta di due caratteri fondamentali della Chiesa, fin dal suo nascere, come dimostra la frase degli Atti che si poneva come continuazione del titolo dell’Assemblea Sinodale: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo ed un’anima sola (At. 4,32)». I due aspetti, di cui la comunione emerge dalla vita stessa di Dio e la testimonianza rende visibile e credibile la comunità, non sono limitati da Benedetto XVI ai cristiani, ma, nell’intero corso del documento, rimangono «aperti ai nostri fratelli giudei e musulmani», prendendo la prima comunità di Gerusalemme come modello per entrambe le dimensioni.
 
Il documento è particolarmente importante per due aspetti che, all’interno della riflessione teologica e pastorale della Chiesa, sono ancora oggi motivo di riflessione e di dibattito: evangelizzazione e dialogo. Se spesso si afferma che i due rappresentano dimensioni diverse, tali da dover mantenere una certa distinzione, Benedetto XVI impernia Ecclesia in Medio Oriente, proprio su queste due dimensioni come aspetti dell’unica realtà ecclesiale.
 
Il dialogo interreligioso, infatti, considerato come «la natura e la vocazione universale della Chiesa in Medio Oriente è basato su legami spirituali e storici, che uniscono i cristiani agli ebrei e ai musulmani». (EMO 19). La motivazione del dialogo – precisa Benedetto XVI – non si limita a «considerazioni pragmatiche di ordine politico e sociale», ma si fonda su basi teologiche, come già ricordato dal Concilio in documenti fondamentali quali Lumen Gentium e, soprattutto, Nostra Aetate, che aveva aperto le porte della Chiesa cattolica al dialogo con fedeli di altre religioni. «Ebrei, cristiani e musulmani credono in un Dio, Uno, creatore di tutti gli uomini» (EMO 19). E’ alla luce di questa idea fondante che si comprende il desiderio che fedeli delle tre tradizioni possano riscoprire il piano di Dio sull’umanità: l’unità e l’armonia della famiglia umana.
 
Il riconoscere Dio uno può «contribuire notevolmente alla pace nella regione e alla convivenza rispettosa dei suoi abitanti». Tale verità, infatti, offre la premessa per guardare all’altro credente come «ad un fratello da rispettare e da amare», strada maestra questa per giungere ad offrire una testimonianza della serenità e della convivialità tra i figli di Abramo. (EMO 19). Senza ignorare i tanti, lunghi e, spesso, dolorosi trascorsi storici fra cristiani, ebrei e musulmani, manifestatisi in intolleranza, discriminazioni e persecuzioni, papa Ratzinger sottolinea come la ricca cultura medio-orientale di oggi sia il risultato di una simbiosi nata dal contributo delle tre tradizioni (cfr. EMO 23 e 24).
Il papa, inoltre, sottolinea come il dialogo non possa e non debba limitarsi ad una semplice tolleranza reciproca, ma, piuttosto come esso rappresenti una via per assicurare la libertà religiosa, di cui ogni uomo e donna può e deve godere nella vita quotidiana.
 
D’altro canto, l’evangelizzazione, intesa come annuncio e trasmissione della fede, resta una missione essenziale per la Chiesa, che deve trovarne le modalità adatte sia alle sfide del mondo attuale che al contesto culturale e sociale in cui si trova a vivere. Si tratta di «condividere l’inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita e tale riflessione dovrà essere aperta alle due dimensioni: ecumenica ed interreligiosa, inerenti alla vocazione e alla missione proprie della Chiesa cattolica in Medio Oriente». (EMO 86) Per realizzare questo con la dovuta sensibilità e l'amore per la verità, si ricorda il duplice invito di Paolo VI: la necessità di essere testimoni perché, innanzitutto, evangelizzati in prima persona e, al contempo, evangelizzatori in quanto chi ha ricevuto l’annuncio non può non trasmetterlo ad altri.[1]
 
Benedetto XVI, infine, non teme di affrontare il delicato problema della Verità. E’ su questo tema, infatti, che annuncio e dialogo si fondano, chiamati a trovare un giusto rapporto per evitare esclusivismi che aprono, poi, la porta al fondamentalismo di qualsiasi tipo. Il documento, con coraggio e chiarezza, ricorda che «la verità non è possesso di alcuno, ma è sempre un dono che ci chiama ad un cammino di assimilazione sempre più profonda alla verità. La verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo imporre la verità; solo nel rapporto di amore la verità si schiude». E, infatti, necessario tener presente che «un raggio di verità illumina tutti gli uomini». (EMO 27 e 28).
 
E’ alla luce di queste dimensioni e prospettive che si esprime l’augurio di Benedetto XVI: «Possa questa regione mostrare che vivere insieme non è un’utopia e che la diffidenza ed il pregiudizio non sono una fatalità. Le religioni possono mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società». (EMO 28)
 



[1] Cfr. Paolo VI, Evangelii Enuntiandi, 8 dicebre 1975, n.24.


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