Comunicazioni sovvertite
Telefonino, telefonino, telefonino. Per le nuove generazioni non ci sono dubbi. È l’unico, vero, efficace mezzo di comunicazione. Permette di estendere il dialogo “faccia a faccia” e di comunicare subito, qui e ora, con chiunque, dovunque sia. Non è certo uno strumento per telefonare, il cellulare. È molto di più e i giovani hanno un modo tutto loro di utilizzarlo. Grande è l’importanza attribuitagli come strumento di svago e di compagnia. L’aspetto giocoso e ricreativo è infatti uno degli obiettivi fondamentali dei giovani quando si avvicinano a un qualsiasi mezzo di comunicazione. La conferma giunge dal terzo Rapporto sulla comunicazione in Italia, realizzato dal Censis e dall’Ucsi (Unione cattolica della stampa italiana) e presentato a fine ottobre. Il telefonino è l’inseparabile strumento di ogni giornata – quasi un prolungamento del corpo – per oltre il 90 per cento dei giovani. Fanno costante compagnia anche la televisione e l’inossidabile radio. Seguono libri, quotidiani, Internet e periodici. Intensità prima sconosciuta Non c’è più da stupirsi, una grande quantità di mezzi di comunicazione affolla il mondo delle nuove generazioni. Cresciute in un ambiente in cui la presenza dei media appare come un dato naturale, mostrano una totale disinvoltura nell’approccio con ogni strumento, rivelando “una frequenza e un’intensità di rapporto sconosciute alla generazioni precedenti”. Il dato non è di poco conto. Siamo, d’accordo, nella società della comunicazione, dove famiglia, scuola e tutti i tradizionali organismi formativi stanno segnando il passo, ma non è stata posta sufficiente attenzione al fatto che i media siano considerati punti di riferimento vitali con i quali confrontarsi per crescere. In altre parole, i giovani si rivolgono agli strumenti di comunicazione anche “per formare la propria identità e il proprio sistema di valori”, “per specchiarsi in essi e verificare l’immagine di sé”, “per fare esperienza del mondo “. Da questa angolazione conviene perciò guardare per cogliere le caratteristiche e gli snodi del rapporto tra giovani e media. Essi sono, rispetto al totale della popolazione, i maggiori utilizzatori degli strumenti di comunicazione. E i più giovani sono maggiormente avidi. Quelli tra i 14 e i 18 anni vanno infatti considerati come gli autentici giovani. I ragazzi tra i 19 e i 30 anni, invece, assumono sempre più gusti e comportamenti simili agli adulti. Così, all’interno del mondo giovanile si evidenziano tre classi radicalmente diverse tra loro. Tanto che si può ricavare una precisa identificazione tra fascia d’età e mezzi preferiti. Il cellulare e la radio fanno sballare i 14-18enni, Internet e i libri (a motivo degli studi universitari) costituiscono l’appannaggio dei 19- 24enni. Televisione e quotidiani, per il gruppo 25-30 anni, sono ritenuti i migliori canali per stare in contatto con quanto avviene nel mondo. Il modello ideale di comunicazione In generale, i media elettronicoinformatici sono avvertiti come i più vicini. Il modello ideale è la radio. Motivo? Non è impegnativa, resta sullo sfondo, è un flusso continuo che non richiede una precisa attenzione. Se ne deduce che la radio è il paradigma di ogni comunicazione verso i giovani che possa risultare gradita. In questo quadro di aspettative libere e fluide, Internet dovrebbe rivestire un carattere di particolare appetibilità. Lo studio riferisce, invece, di un rapporto problematico e invita a desistere dal ritenere internet come uno strumento congeniale all’esperienza giovanile. Solo il 23 per cento dei ragazzi lo sente vicino, mentre ben il 30 lo avverte lontano. Così il mondo giovanile si divide in due contrapposte fazioni, formate da chi ama e da chi detesta la rete. La ragione? Secondo gli autori del rapporto, gli uni e gli altri condividono l’esigenza di velocità e di interattività, ma diverso è il loro giudizio sull’effettiva capacità che ha internet di venire incontro a un tale bisogno. Gradimento per la lettura In fatto di libri viene registrata una sensibile crescita di gradimento. Sorprende gli esperti una manifesta passione verso la lettura, espressa dal 54 per cento delle ragazze e dal 45 per cento dei coetanei. Il 66 per cento legge un libro all’anno, il 48 almeno tre. I più giovani leggono maggiormente rispetto ai più grandi, ovvero, con il crescere dell’età si riduce il tempo dedicato alla lettura. Si legge soprattutto per interesse e per svago, molto meno per abitudine o compagnia. Dopo l’università si legge di meno. È provato. Ma il deside- rio di lettura si fa più vivo proprio tra quelli che leggono meno libri di un tempo. Questo significa che c’è un’alta percezione del valore della lettura stessa. E questo viene rilevato come un “dato confortante”. Altro fattore di sorpresa, i giudizi sul mondo della comunicazione nel suo complesso. Cosa disturba di più i giovani? Al primo posto la “volgarità” (più le femmine che i maschi), poi “l’impressione che i media vogliano imporre il loro punto di vista”, seguiti da altre grosse pecche, la “superficialità” e “l’ossequio verso i potenti”, la “miscela di elementi frivoli e tragici”, la “faziosità”. Bocciate volgarità e superficialità Valutazioni che fanno saltare certi pregiudizi sulle nuove generazioni e che dovrebbero diventare oggetto di riflessioni per chi opera nei media, primi tra tutti quelli del mondo della televisione. La tivù spazzatura che impera nel tubo catodico non è poi così gradita, e si conferma una balla la convinzione (o presunta tale) dei dirigenti televisivi che il pubblico – particolarmente quello giovanile – ingurgita tutto quello che passa sul piccolo schermo. Se la radio è apprezzata per il suo ruolo di colonna sonora della giornata, dalla televisione i giovani si aspettano soprattutto un compito, quello di grande narratrice di storie. Le nuove generazioni divorano infatti film, telefilm e sceneggiati. Anche in fatto di libri, il gradimento va appunto alle storie, siano individuali, famigliari o di popoli. Le qualità attese nei media Incentrato sui giovani, questo Rapporto sulla comunicazione in Italia è ricco di tanti aspetti, cui rimandare quanti hanno a che fare con “gli anni verdi”, dai giornalisti ai genitori, dagli insegnanti ai catechisti. Si dice che i giovani pensano principalmente a divertirsi, non vogliono impegnarsi, non sono capaci di concentrarsi, si annoiano rapidamente, rifuggono gli approfondimenti, hanno bisogno di un continuo bombardamento di stimoli per tenere viva la loro curiosità. Leggerezza, velocità e superficialità fanno parte del modo con cui i giovani si avvicinano al mondo della comunicazione, ma sono accompagnati da altri elementi: “il bisogno di essere emotivamente coinvolti dai messaggi “, “la necessità di poter scegliere percorsi personali attraverso i quali approfondire le tematiche che stanno a cuore”, “la ricerca di soggetti autorevoli a cui fare riferimento” per evitare di perdersi nel labirinto prodotto da quella stessa abbondanza di stimoli comunicativi a loro tanto cara. Visione ottimistica? Se anche fosse, non è certo infondata. E può risultare utile, soprattutto per i comunicatori, le conseguenze che ne vengono tratte. Non è detto che con i giovani “si possa parlare di qualsiasi argomento – commenta Raffaele Pastore del Censis -, ma se si è in grado di coinvolgerli emotivamente, se si sa essere autorevoli senza cadere nella prolissità, ricordandosi di mantenere un modo di esprimersi ironico e leggero, allora è possibile ottenere la loro attenzione, anche prolungata”. Le nuove generazioni invitano ad accantonare i canoni classici del linguaggio e dei codici. La sfida è impegnativa, ma appassionante. AHI, AHI, L’INFORMAZIONE Consolante. “Con il crescere dell’età aumenta nettamente il bisogno di informazione e di conoscenza”. Problematico. “Trova riscontro la minore forza d’attrazione esercitata dall’informazione sul pubblico femminile”. Catodico. “L’informazione generale sui fatti si ricava dalla televisione”. Ecco alcuni aspetti dell’approccio dei giovani con le notizie, come risulta dall’ultimo Rapporto sulla comunicazione. Sempre contenuta resta la preferenza verso i notiziari stampati: 44 giovani su cento leggono un quotidiano tre volte la settimana, mentre i periodici sono il riferimento abituale per un più modesto 15 per cento. Nei quotidiani si apprezzano cronaca nazionale e locale, sport. Spiega la ricerca: “Ai giornali non viene assegnato il compito di approfondire gli argomenti, ma di allargare lo sguardo su tutte le notizie di cronaca che non trovano spazio nei telegiornali “. Nei periodici, i giovani “cercano un riscontro ai propri interessi particolari: informazione, moda,musica, scienza”. La carta stampata è considerata un medium rigido e pesante: i quotidiani sono sentiti vicini dal 12 per cento, lontani dal 23; i periodici sono apprezzati dal 4 per cento e poco graditi dal 26. Questo quadro segnala il pieno ingresso nella civiltà della comunicazione istantanea che prenderà sempre più il sopravvento sulla tradizione opera di approfondimento e di riflessione. Quello che caratterizza i giovani di oggi non è tanto la mancanza d’interesse verso l’informazione, quanto l’esigenza di informarsi in tempi brevi e nel momento in cui le cose accadono. Da qui, “una progressiva estraneità rispetto ai media che si collocano in una posizione di distanza temporale rispetto agli avvenimenti di cui vogliono essere informati”. Nel futuro, dunque, si prospetta la chiusura di tutti i periodici, compreso nostro, caratterizzato da una cadenza quindicinale. Sarebbe una conclusione troppo scontata. Per fortuna, viene in soccorso una serie di attese giovanili che il rapporto mette in luce nei riguardi dei mezzi di comunicazione. L’86 per cento premierà quelli che “consentono di approfondire le notizie che li interessano “, il 72 quanti “sanno proporsi in maniera seria e autorevole”, il 68 privilegierà i mezzi che “si occupano di pochi temi alla volta e offrono una guida per capirli”. Nel mare magnum dell’offerta informativa in cui i giovani (e gli adulti) rischiano di affogare, verranno sempre ricercati i mezzi d’informazione seri, autorevoli, documentati. Allora, futuro sarà assicurato.