Comunicare la fede on line. Come fare?
Nel libro “Comunicare la fede oggi” racconti la vicenda di Paolo Longo, parroco di Polla (comune in provincia di Salerno), che durante il primo lockdown, imposto dall’emergenza covid, ha celebrato una messa in streaming su Instagram, attivando, per sbaglio, una funzionalità dell’applicazione che permette al telefono di aggiungere elementi buffi (baffi, occhiali, caschi e cappelli) alla diretta; così facendo ha trasformato la funzione in un’esperienza surreale e “virale”.
Cosa succede quando si prova a comunicare la fede e lo si fa male?
L’aneddoto ricorda una situazione buffa che dimostra come la mancanza di preparazione possa rovinare perfino il messaggio più bello. Don Paolo ha ricevuto anche parole d’incoraggiamento perché era chiaro il suo zelo. In questo caso la fede è stata comunicata male per un errore tecnico. Spesso ci fidiamo molto della indubbia “qualità” del messaggio cristiano, ma non basta. Se in qualcosa possiamo collaborare con Dio nella trasmissione della fede è nel nostro impegno per trasmetterla bene. Bisogna cercare parole nuove, offrire storie accattivanti, capire il contesto in cui siamo ascoltati, adoperare nuovi canali… E questo è un compito necessario ora che, con la rivoluzione digitale, in pochi anni sono cambiati i gusti, i toni, i tempi, i flussi e le abitudini. È un compito per cui serve professionalità e persone preparate e flessibili, che amino la Chiesa e la comunicazione.
La rete è uno spazio in cui ciascuno di noi comunica con altri utenti senza avere la certezza di parlare a qualcuno con cui si condividono valori o una certa sensibilità rispetto al mondo. Questa situazione è molto spesso alla base di quello che gli analisti della comunicazione definiscono hate speech, ossia le espressioni di odio che corrono sui social.
Esiste un atteggiamento in grado di arginare questa deriva?
L’atteggiamento ideale è il rispetto, parola che originariamente significava «guardare indietro da lontano». Indietro, perché per guardare l’altro bisogna prima distogliere lo sguardo dalla propria realtà individuale e provare a capire chi non la pensa come noi. E da lontano. Mai come ora abbiamo la possibilità di scambiare idee su argomenti polarizzanti con persone che hanno valori molto diversi dai nostri. A questa distanza “interiore” se ne aggiunge una “fisica”. Non sentiamo i toni della voce né vediamo i gesti dei nostri interlocutori. L’unica altra alternativa possibile è parlare con chi la pensa come noi, costruendo una sorta di “arca di Noè morale”, dove condanniamo al diluvio chi rimane estraneo rispetto alle nostre posizioni. Ma questo atteggiamento non può funzionare. La fede richiede ossigeno, dialogo, apertura. Anzi, marcisce quando la si prova a rinchiudere.
Tim Berners-Lee, l’informatico inglese considerato il padre della rete, si è spesso lamentato della sua creatura, dichiarando pubblicamente che internet, oggi, non corrisponde a quello che lui sognava, ma è invece diventato un luogo corrotto da egoismi umani e interessi commerciali.
Quale pensi debba (e possa) essere il ruolo dei cristiani di fronte a questa novità assoluta?
La rete è un sogno fatto realtà. Ma capita con qualsiasi realtà umana. Prima o poi ci si scontra con i limiti personali o con le ambizioni disoneste proprie e degli altri. Ma non bisogna scordare il sogno iniziale, perché è una guida da inseguire ancora. Il realismo cristiano ci incoraggia a mettere in risalto gli aspetti positivi della rete, senza dimenticarne ingenuamente i pericoli. Penso che dobbiamo avere più fiducia nella capacità della fede di trasformare tutte le realtà, anche internet e il mondo che verrà fuori da questa rivoluzione. Rete e fede sono due rivoluzioni che agiscono potentemente su di noi e che si possono illuminare a vicenda.
Potresti elencarmi tre errori che chi ha il compito di comunicare la fede dovrebbe evitare di commettere nell’impostare un piano di comunicazione digitale?
Il primo errore è non avere un piano di comunicazione. Bisogna sapere cosa si vuole ottenere in rete, quale percezione si desidera modificare, a quale pubblico si vuole arrivare. Il secondo errore è l’improvvisazione. Pensare che chiunque possa gestire un canale digitale e che non vale la pena investire tempo e denaro nella loro gestione. Un terzo errore è lasciarsi portare dall’ansia di dire cose. Comunicare è anche ascoltare, conoscere le inquietudini della gente, intercettare le loro domande. Internet facilita tale ascolto: i commenti degli utenti, i blog degli esperti, gli influencer che agiscono sull’opinione pubblica, i dati statistici del nostro sito che rivelano cosa piace e cosa non piace… Per tornare alla comunicazione della fede, possiamo dire che l’Ascolto deve precedere e seguire l’Annuncio. E questo secondo esercizio è forse più impegnativo.
Non di rado, purtroppo, le conversazioni in Rete si trasformano in vere e proprie risse digitali e il litigio, ormai lo sappiamo, non fa altro che distrarre gli utenti dalle argomentazioni, cioè dall’oggetto del dibattere, per poi trasformarsi esso stesso in centro e cuore pulsante della comunicazione (ne sanno qualcosa tanti talk show e salotti televisivi).
Potresti darci qualche consiglio utile per imparare a dissentire senza scontrarci?
Spesso parliamo di argomenti difficili, che richiederebbero processi lunghi per essere compresi appieno. Inoltre, internet ha aumentato l’urgenza di risolvere questioni. Penso al recente dibattito in rete su un cartello pubblicitario sula pillola abortiva presentata come un veleno. Il primo consiglio è rinunciare alla pretesa di vincere battaglie online. Ma allora serve dialogare in rete? Certo! Ci obbliga a migliorare le nostre spiegazioni. Ci mette nelle condizioni di doverci impegnare per capire le ragioni altrui. Un altro consiglio: cercare i punti d’incontro. Oppure menzionare aspetti positivi dello scambio di opinioni che aiutano a lasciare aperto il dialogo. Bisogna evitare di semplificare le opinioni contrarie o inquadrare mentalmente l’opponente in una categoria che condizionerà il nostro atteggiamento. Tacere, modificare un commento prima di rispondere, evitare critiche ingiuste. Frammentare con pazienza le nostre spiegazioni sono modi in cui la carità –il valore cristiano più alto – può farsi presente online.