Compleanno dietro le sbarre

Si avvicinava il giorno in cui avrei compiuto 24 anni. Pensando a qualcosa di diverso dalla solita festa con gli amici, mi sono chiesta se non sarebbe stato più bello, ad esempio, condividere quei momenti semplici di gioia con qualcuno al quale fosse preclusa perfino la possibilità di una semplice torta. A quel punto il cuore mi ha suggerito un’idea un po’ originale: festeggiare quel compleanno nel carcere della mia città. Quello sì era un posto dove tanti non avevano neppure chi si ricordasse di loro. Già m’immaginavo la scena… Senza pensarci troppo su, spinta dall’entusiasmo, sono riuscita ad ottenere un colloquio col direttore del carcere. Era la prima volta che mettevo piede in un posto del genere e tutto mi intimidiva. Lui mi ha ascoltata piuttosto sorpreso, assicurandomi poi che avrebbe girato la mia richiesta a chi di dovere. L’attesa è durata cinque giorni, dopo di che mi è stato comunicato, con rincrescimento, che non potevo essere esaudita. Non volendo però rassegnarmi senza averle tentate tutte, ho parlato di questo mio progetto ad una collega di università impegnata nella pastorale carceraria. Qualche giorno dopo l’ho rivista all’università. E la risposta, stavolta, era affermativa! Non solo, ma una volontaria sua amica aveva ottenuto che un sacerdote celebrasse l’Eucaristia per noi e per quei detenuti che lo desideravano. Così, il giorno del mio compleanno, sono arrivata in quel carcere con tutto il necessario per la festa. Mi accompagnava Cézar, un amico che compiva gli anni nella stessa data e al quale pure era piaciuta l’idea. Nella sala d’ingresso un agente ha controllato la torta, i dolci e le bibite; anche noi siamo stati perquisiti. Dopo di che ci ha condotti in un reparto dove ci ha affidati ad un detenuto incaricato di fare uscire di cella i compagni per il cosiddetto bagno di sole, avvisandoli della nostra visita (frattanto s’era aggiunta a noi Marina, la volontaria della pastorale carceraria). Subito dopo, ho notato con una certa inquietudine che i poliziotti che ci scortavano si erano fermati ad una certa distanza dall’entrata (ho saputo poi perché: per loro, che avevano ricevuto minacce di morte, sarebbe stato rischioso accompagnarci dentro quel reparto). Mentre venivamo accompagnati al locale del bagno di sole, la vista di quegli ambienti squallidi e cupi non era per niente incoraggiante: in fondo eravamo soli in mezzo a più di ottanta uomini che avevano sulla coscienza chissà quali delitti. Comunque non ho avuto tempo di pensarci troppo: in breve siamo arrivati là dove ci aspettava un gruppetto di detenuti più il sacerdote, che si stava preparando per la messa. A questo punto Marina ci ha presentati e ha spiegato il motivo che ci aveva spinti lì. Alcuni sembravano dei ragazzini innocenti, dal volto ben disposto, il che mi ha rincuorata. Uno di loro, che doveva essere il capo, ha esordito dicendo, per tranquillizzarci, che non ci sarebbe capitato niente di male; ha poi espresso il grazie di tutti per esserci ricordati che esistevano delle persone in prigione, che anche loro erano esseri umani. È iniziata la celebrazione del- l’Eucaristia, e proprio in quel giorno c’era il brano del Vangelo sul buon ladrone. Dopo la lettura ho fatto un accenno alla mia esperienza di vita, aggiungendo che insieme a tanti altri avevo fatta mia la cosiddetta regola d’oro che invita a fare agli altri quanto si desidera fatto a noi stessi: qualcosa che anche a loro, lì dove scontavano una pena, era possibile mettere in pratica. Terminata la messa, uno dei carcerati mi si è avvicinato per dirmi che se il buon ladrone era andato in paradiso, anche per loro c’era speranza, e che in fondo solo Dio conosceva cosa c’era nel cuore di ciascuno. Dopo abbiamo fatto qualche canto e condiviso i dolci e le bevande. Un giovane detenuto che aveva compiuto gli anni una quindicina di giorni prima di me mi ha confidato che in vita sua non gli era mai stata offerta una torta. Parlando ora con l’uno ora con l’altro, mi sono resa conto che erano molto abbattuti perché si vedevano senza prospettive; trascinavano le giornate nell’inerzia e uscivano solo per il bagno di sole, un posto dove peraltro soffocavano dal caldo; alcuni si rammaricavano di non ricevere mai la visita di un sacerdote, mentre molti di loro avevano sete di conoscere Dio. Prima di lasciarci ognuno è venuto a ringraziarmi e a dirmi che mi considerava una sorella; non finivano di rassicurarmi che lì non avevo nulla da temere. In me è rimasta la gioia per una giornata così particolare e penso di continuare ad impegnarmi perché anche altri si ricordino di questi che soffrono, dimostrando loro solidarietà. È valsa davvero la pena ascoltare ciò che mi dettava il cuore.

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