Comelico, sì al nuovo impianto sciistico tra le perplessità

La Soprintendenza di Venezia ha dato l'ok alla costruzione del collegamento con la Val Pusteria. Ma sono in molti a dubitare dell'effettiva opportunità dell'investimento, sia per il suo impatto ambientale che per l'anacronismo di un modello turistico di questo tipo
Una veduta di Padola, in Comelico. Foto: Di Antonio De Lorenzo - Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1634176

Fa discutere in realtà da una decina d’anni, ossia da quando per la prima volta se ne è parlato; ma lo fa in particolare in questi giorni, essendo arrivato l’ok dalla Soprintendenza al paesaggio di Venezia. Parliamo del progetto cosiddetto “Stacco”, che prevede il collegamento degli impianti di sci del bellunese Comelico con quelli (ben più ampi) della altoatesina Val Pusteria.

Facciamo quindi un passo indietro per capire meglio. Il Comelico è una zona senz’altro bellissima e ricca di storia – qui esistono ancora le antiche Regole per la gestione comune del territorio, ad esempio – ma che affronta difficoltà oggettive: sotto il profilo dei collegamenti viari, dei servizi che mancano, e del conseguente spopolamento. Per dare una spinta al turismo – che si basa perlopiù sulle seconde case, vuote per buona parte dell’anno – era così nato nel 2013 questo progetto, che sarebbe andato ad agganciare una zona vocata al cosiddetto turismo “lento” (piccoli numeri, assenza di grandi strutture, contatto diretto con il territorio) ad una vocata al turismo più “di massa” come la Pusteria. Progetto che nel frattempo è stato significativamente modificato, alla luce del riconoscimento delle Dolomiti a patrimonio Unesco – tanto che il sindaco di Comelico Superiore l’ha definito un progetto che integra «ambiente, cultura, storia, sviluppo con una visione verso il futuro, inserendo anche elementi di studio riferibili alle peculiarità del sito Unesco e alla neutralizzazione delle emissioni di carbonio». L’investimento è quantificato tra i 40 e i 50 milioni di euro, di cui 30 pubblici.

Tutto bene dunque? Non tutto. Innanzitutto perché è ancora pendente un ricorso presentato da associazioni ambientaliste e ministero per i Beni culturali contro la sentenza del Tar Veneto, che ad agosto ha annullato un decreto dello stesso ministero che imponeva pesanti vincoli ambientali sull’intero Comelico. Se il Consiglio di Stato dovesse ribaltare la sentenza, confermando i vincoli, si potrebbe innescare un vero corto circuito autorizzativo rispetto alle nuove strutture ricettive che dovrebbero essere costruite in previsione dell’ampliamento del comprensorio. Se già è concreto il rischio che i turisti soggiornino comunque dal lato della Val Pusteria invece che in Comelico, data la maggior dotazione di servizi e infrastrutture, questo rischio diventerebbe così sostanzialmente certezza.

Ma il vero punto di domanda è quello che da tempo solleva a livello nazionale il Cai, e che questo inverno scarso di precipitazioni nevose per tutti i primi mesi ha ben messo in luce: investimenti in impianti sciistici di questo tipo, specie se come in questo caso si svilupperebbero in parte al di sotto dei 2000 metri, sono anacronistici per diverse ragioni. La prima è l’ormai improponibile quantità di acqua e di energia che serve a mantenere l’innevamento artificiale; la seconda è che anche i turisti si stanno effettivamente sempre più rivolgendo a forme diverse di turismo, come quel turismo lento che il Comelico avrebbe potenzialità per sviluppare ma di cui questo progetto rappresenta l’opposto. Tenendo conto poi del tempo che servirebbe a portare a termine i lavori, l’anacronismo appare ancora più marcato.

A prendere apertamente posizione contro il progetto è stato il presidente del Cai Alto Adige, Carlo Alberto Zanella, che ha puntato il dito anche contro il forte impatto ambientale – si tratterebbe di deforestare ampie zone di bosco – e ricordato che sia altre valli alpine che l’Austria hanno fatto marcia indietro sulla volontà di continuare ad espandere questo tipo di turismo. Meglio, ha affermato, puntare sulla rivitalizzazione del turismo che fa base sulle seconde case già esistenti, o su piccole strutture; e sulle Terme di Valgrande, attualmente chiuse.

Il caso del Comelico sta quindi diventando l’esempio di un dibattito che nell’arco alpino, ma anche nella parte di Appennino interessata dallo sci, è ogni giorno più pressante: la necessità di uscire dalla “monocoltura dello sci”, disinvestendo da ormai improponibili megaimpianti – che ora danno sì lavoro ad intere valli, ma potrebbero non farlo più in un futuro non troppo lontano – per investire su un turismo più sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

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