Come uscire dall’attuale crisi?
Sembra che non ci sia più neanche la voglia di cercare ricette per uscire dall’attuale crisi politica. In effetti, viviamo in Italia, e in genere in Europa, una fase di passaggio che non si sa dove ci porterà. Ciò dal punto di vista economico, da quello politico, da quello sociale; avendo, sul fondo, una crisi culturale, e cioè il venir meno di punti di riferimento etici, che possano orientare e motivare l’impegno di vita, individuale e collettivo.
Il relativismo etico vuol dire esattamente questo: l’etica è relativa, non assoluta. Allora, non ci sono più valori comuni che orientino l’azione (economica, politica, ecc.) e fungano da criteri di giudizio dell’azione stessa, cogenti per tutti. Quando si invoca un nuovo patto (sociale, economico, politico, o che dir si voglia), si vuole esprimere proprio la suddetta esigenza. Ma si può arrivare a questo patto? Realisticamente no; per la ragione che il “contratto sociale” di roussoniana memoria non è mai esistito.
Bisogna essere realisti. Dall’attuale situazione (economica, politica, ecc.) si uscirà con le forze umane che fanno la storia. L’esito è imprevedibile. Bisogna andare ad analoghi periodi di transizione, per comprendere come può avvenire l’evoluzione della situazione. Possiamo prendere in considerazione due periodi: quello della transizione dal mondo romano verso la nuova realtà che si configurò col Medio Evo, e quello del Cinquecento-Seicento, che segnò la fine del precedente ordine e la nascita dell’ordine sociale, politico ed economico dell’era moderna; processo che non si è ancora concluso e di cui l’attuale crisi è, forse, l’epilogo.
Quali sono le forze umane che si muovono sull’attuale scacchiere della storia, in particolare italiana ed europea? Sì, perché anche se l’evoluzione interessa tutto il mondo in senso globale, bisogna assolutamente riconoscere – altrimenti si è volutamente miopi – che diversissima è la situazione delle altre aree del mondo, che hanno potenzialità di sviluppo assolutamente ignote a noi.
Per quanto riguarda l’Italia, e in via generale l’Europa, si parla di crisi demografica, e questa è forse una causa, o almeno un aspetto, della più vasta crisi. Da questa crisi si esce solo attraverso un forte risveglio spirituale e morale; e questo lo possono – e in parte già lo fanno – singole persone sulla base di una forte motivazione religiosa. Ecco, il fattore religioso è uno – forse il più importante – degli “imprevedibili” che possono dare un forte cambiamento alla situazione. Esso è una delle forze umane positive che agiscono sullo scacchiere della storia.
Bisogna poi considerare – sempre restando all’Italia e all’Europa – il fattore dell’immigrazione da altre aree umane. I fenomeni migratori non sono destinati ad arrestarsi, semmai ad accrescersi. Essi pongono ai Paesi europei grossi problemi di integrazione, tuttavia rappresentano un'enorme risorsa positiva per essi. Il paragone con l’epoca della caduta dell’Impero romano è troppo evidente, ma bisognerebbe non fare come allora, quando l’integrazione con i nuovi popoli “barbarici” avvenne per forze cieche e violente –, ma guidare decisamente l’integrazione, riconoscendo pieni diritti civili e politici alla popolazione degli immigrati. Ritengo che questo sia, oggi, il primo e più urgente compito a livello politico degli Stati europei. Forse esso può far sì che la tanto invocata unità politica del continente acquisti un senso, una ragione e un valore in più.
Non si può pensare di uscire dalla crisi economica rimanendo nelle logiche del capitalismo finanziario. Lo sviluppo – la “crescita”, termine brutto ed equivoco – deve avvenire con le risorse umane (e qui l’immigrazione e l’integrazione giocano un ruolo decisivo e positivo per l’Europa) e le risorse proprie del continente, che sono diverse e ricche: ci sono quelle industriali dell’Europa centrale e quelle legate alla natura e alla storia dell’Europa mediterranea. Tutto ciò non basta. Occorre che sulla base di queste risorse, riscoperte e utilizzate in modo nuovo, nasca un nuovo modello di società, decisamente inverso a quello indotto dalla industrializzazione capitalistica (urbanizzazione, ecc.). Non bastano, infatti, nuovi stili di vita; senza un nuovo modello sociale neanche sono possibili nuovi stili di vita.
Per un approfondimento sull'argomento, si può leggere anche l'articolo di Carlo Blengini "I poteri della Bce contro la crisi".