Come una bambola

Per le feste torno a casa, ho bisogno di vedere il mio mare e la mia gente. La voce di Maria, solare e piena, comunicava a Gianna, per telefono, i suoi progetti per quel fine anno, diffondendo un’allegria sana anche sui pensieri stanchi dell’amica. In un istante le centinaia di chilometri di pianura nebbiosa che dividevano le loro due città, si erano annullati, nell’augurio che era sgorgato accorato e spontaneo: Che sia un Natale ricco di affetti, allora. Non si sarebbero riviste. Ma ciò non costituiva un problema. La loro amicizia, nata per caso, sapeva di dover seguire, ciascuna il proprio percorso, facendo l’una il tifo per la vittoria dell’altra, nelle battaglie che la vita riservava loro. E basta. Certo Gianna doveva ammettere che Maria era stata un’alleata di studi universitari speciale, già dal loro primo incontro. Erano passati ormai quasi trent’anni da quella mattina grigia: in una Milano indaffarata e indifferente, Gianna doveva incontrarsi con una giovane signora, iscritta come lei alla facoltà di psicologia, a Padova. Erano i primi anni di una facoltà giovane e bersagliata, in lotta con il mondo e con sé stessa. Un gruppo di studio di zona, avrebbe favorito gli studi e l’approfondimento scientifico, con la consulenza di docenti della regione. Questo pensava Gianna, nel prendere contatti con altre matricole. La signora Maria era una di queste. Un’avventura, eh?, Maria l’aveva provocata per telefono. Già. Ma intanto anche Gianna, in anni in cui non si poteva certo sognare l’avvento diffuso dell’aiuto tecnologico del computer, che tanto avrebbe sostenuto uno studio a distanza, si chiedeva perché una signora, già insegnante e con due figli piccoli, si fosse presa l’impegno di iscriversi ad una facoltà, per giunta così lontana, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la laurea e una specializzazione. La domanda affiorava indiscreta, mentre con gli occhi setacciava i passeggeri in attesa, al limite del binario. Non riusciva a distinguere Maria, con quella rivista sotto braccio, segno concordato di riconoscimento. Poi, tra un distratto portabagagli (allora esistevano ancora!) e un ferroviere nervoso, ecco farsi strada una ragazza, almeno così le era sembrata da lontano: impermeabile e jeans vestivano un corpo minuto, una massa sbarazzina di capelli nerissimi mettevano in risalto un volto dai lineamenti arrotondati e uno sguardo verde luminosissimo. Al sorriso di Maria, Gianna rispose un po’ incerta: era proprio lei che aspettava di incontrare. Dopo una sbrigativa, quanto gradevolissima presentazione, erano salite sul treno. Non aveva mai dimenticato quel viaggio, il senso diffuso di benessere che era riusci- ta a comunicarle quella nuova amica. Che Maria fosse un tipo deciso se lo aspettava! Infatti stava già presentandole, non senza una buona dose di humour, tutte le difficoltà di quella scelta. Poi con quieta allegria, mista ad un pizzico di incoscienza, le sciorinò tutte le possibilità di quel corso di studi. Non è che quel giorno l’incontro con l’ambiente burocratico universitario fosse stato felice; perciò durante il faticoso viaggio di ritorno, sembrò a Gianna più ovvia la domanda sulle vere ragioni di quel nuovo impegno di studio, che non si preannunciava semplice. Vedi, quando lavoro con i ragazzi a scuola, ho bisogno di capirli, e in questo mi sento già dotata di buone capacità personali; ma tutto questo non mi basta, devo imparare, specializzarmi, servirmi della scienza, devo ricorrere agli esperti per lavorare sulle loro difficoltà. Un corso di studi così specifico mi permetterà di avere le conoscenze utili e potrò dedicarmi alla ricerca. Rassicurata dall’ascolto della nuova compagna di studi e dal regolare dondolio del treno in corsa, Maria aprì la risposta su uno scenario imprevedibile e soffuso di colori e contorni tanto lontani, da quella nebbiosa distesa che fuggiva sotto i loro occhi… Vedi, devo dire anche che forse sono spinta a tutto ciò anche da un lontano, inconscio desiderio. Da piccola volevo una bambola tutta per me. Mia madre un giorno tornò dal mercato con un regalo: la mia bambola. Mi sembrò bellissima, una fata che la mia fantasia e il mio desiderio avevano vestito e adornato e che ora era lì fra le mie braccia!. Lo scompartimento vuoto permetteva a Maria di esprimere, anche con lo sguardo, i sentimenti che la sfioravano durante il suo, apparentemente, placido racconto. Così Gianna percepì chiaramente l’ondata di tenero turbamento che le attraversava l’animo, nel momento in cui osservò: Capii solo dopo qualche tempo che mamma aveva potuto acquistarla a basso prezzo perché era difettosa: una gambina era più corta dell’altra. Ciò la rese ai miei occhi degna di un’attenzione speciale e solo alla mamma spiegavo che l’avrei fatta diventare come tutte le altre bambole delle mie amiche: con le gambe perfette! Ero piccola e per questo potevo permettermi di credere e di tirare quell’arto rigido ogni giorno un po’, per allungarlo, in un disegno di speranza. Ho ancora nel cuore certe parole che la mamma mi disse, come per partecipare al mio gioco, come per rassicurarmi che, se proprio una cosa la si desidera tanto e si lavora con onestà… allora la si ottiene, anche se si trattava di un sogno come il mio! Quando incontro ragazzi in difficoltà faccio così, devo combattere insieme a loro per superare le difficoltà, iniettare fiducia e voglia di lottare, colmare quelle lacune che fanno della loro giovane età un tormento. Insomma devo vederli sereni, giusti. È per quella confessione che Gianna ha sempre difeso e compreso l’accanimento di Maria negli studi, fino alla laurea, brillantemente conseguita in un giorno di primo autunno, con marito e figli al seguito, in una severa aula universitaria. Mamma adesso è dottore comunicò sorridendo il marito, rivolto ai figlioletti. Allora mi farà sempre le iniezioni? chiese poco convinto il più piccolo. No – rispose spazientito il più grandicello -, te l’ho già detto, la mamma è diventata il dottore dei bambini tristi, e tu non sei un bambino triste, no? Allora stai tranquillo. Sono trascorsi gli anni, scanditi poi da ulteriori duri studi di perfezionamento e anche da momenti in cui, con un entusiasmo pari alla sua umiltà,Maria aggiorna l’amica dei successi che raccoglie nella professione, esercitata accanto ai ragazzi, alle loro famiglie e ai loro educatori. In fondo, Gianna pensa che Maria abbia realizzato quella speranza: la bambola della sua infanzia ha ottenuto la guarigione desiderata. Molti bambini tristi sono guariti, grazie alla sua tenacia, alla sua professionalità, alla sua capacità di comunicare speranza e fiducia anche ai genitori. Grazie alla sua passione per la vita, e alla ricerca della vittoria sul dolore, che talvolta, più di quello fisico, lacera l’esistenza di molti bambini, si realizza ciò che sembra difficile: lei mette tutta sé stessa e non dubita che per questo si avveri anche ciò che sembra impossibile

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