«Come tutti, posso sbagliare»
In jeans e maglietta bianca il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, entra ed esce dal Coc, il centro operativo di comando dove hanno sede, in un semplice prefabbricato bianco dentro il parco don Minozzi, alcuni uffici della città. C’è la polizia stradale con la prefettura di Rieti, l’ufficio comunale, la protezione civile. Osservando la popolazione che vive nella tendopoli, la dignità nel dolore di gente coriacea, si intuisce che le new town, anche qui come a L’Aquila, non possono funzionare perché quello che manca è la città, un insieme di luoghi e di relazioni interpersonali che costruiscono il tessuto e le fondamenta di una vita buona. È il bisogno di comunità. Un “noi” che crea l’identità personale e collettiva. Sergio Pirozzi, eletto sindaco di Amatrice nel 2009 e per il secondo mandato nel 2014, è in continuo movimento. Molti lo cercano. Tra una telefonata e l’altra gli chiedo una breve intervista e mi conduce fuori, nel parco, perché c’è meno confusione.
Come deve procedere la ricostruzione. A cosa dare priorità?
«Un giorno e mezzo dopo il sisma abbiamo individuato l’area dove ricostruire la scuola in un terreno occupato per una situazione di urgenza. Il nostro primo obiettivo è la riapertura della scuola. Dopo vogliamo costruire una Amatrice temporanea, deciderà la protezione civile in che modo realizzarla, con quale tipo di case e di accoglienza. Questo è un messaggio chiaro che mandiamo perché noi vorremmo la ricostruzione del centro storico. Non è un fatto di campanilismo, ma significa tenere conto delle nostre radici. La gente che è morta in questa terra è morta perché amava il nostro territorio, per cui una ricostruzione basata certamente sui nuovi standard di sicurezza, però senza escludere i simboli di appartenenza a questo territorio: la basilica di San Francesco, la chiesa di Sant’Agostino, la torre civica e tutta la parte storica. Ad Amatrice ci sono 69 frazioni e qui abbiamo individuato le aree periferiche e le planimetrie più interessanti. Ci sono già tutti i pareri da parte dei tecnici e conosciamo il numero esatto delle persone che verranno assegnate in queste aree. Per il centro di Amatrice stiamo ragionando più a lungo perché ci sarà bisogno non solo di case, ma di spazi di aggregazione e d’incontro. Bisogna riavviare il settore commerciale, artigianale, la ristorazione, il piccolo commercio al dettaglio. Tra qualche giorno saremo pronti per dare indicazioni a chi di dovere».
Eppure il centro storico è collassato. Di tante case non restano che macerie. Sembra impossibile ricostruire?
«Alcune saranno demolite, ma saranno ricostruite tenendo conto dell’architettura locale. L’importante è ricostruire come nel modello Friuli “dov’era e com’era” perché c’è un radicamento al territorio fortissimo. Non si spiegherebbe, altrimenti, perché la popolazione ha scelto di vivere in questo paese che è distante 67 chilometri dalla città più vicina. E i figli devono andare a studiare alle superiori fuori Amatrice. Se scelgono di vivere qui, è perché lo ritengono il posto più bello al mondo. La nostra sfida e il nostro percorso, largamente condiviso, è tracciato».
A 10 giorni dal sisma qual è il suo stato d’animo. Ha perso amici, parenti?
«Gli amici quasi tutti: il fornaio, il macellaio, il barbiere. Molti, 50enni, miei coetanei, sono scomparsi. Ma sono rimasto forte e sereno. A livello morale dovremmo essere in grado di impegnarci per la loro memoria».
Dopo quello che è accaduto, cosa significa per lei fare il sindaco di questa città?
«Fare il sindaco è fare un atto d’amore. Facevo l’allenatore professionista di calcio dove le retribuzioni sono molto più alte del livello dilettantistico. Ho fatto un atto d’amore nello scegliere di fare il sindaco, è un atto d’amore per il mio territorio. Poi, come tutti, posso sbagliare, però lo faccio con il cuore. E quando fai una cosa con il cuore, forse, fai le cose giuste o il meno sbagliate possibile».