Come ti arrostisco Orson Welles

Giuseppe Battiston riporta in vita il grande attore e regista americano con un testo esilarante, ironico, a tratti acido che mostra anche le fragilità del genio
Giuseppe Battiston

Capelli lisci ben pettinati all’indietro. Avvolto in un grande accappatoio e col sigaro in bocca, emerge dal buio. E sembra proprio lui: Orson Welles redivivo, il grande attore e regista americano, sperimentatore instancabile che, già all’età di 23 anni, avendo intuito le grandi potenzialità che offriva la radio. Ricorderete che seminò il panico a New York annunciando l’invasione dei marziani: una delle più grandi bufale del secolo. A rendere omaggio a questo artista è Giuseppe Battiston con Orson Welles roast uno spettacolo pluripremiato che l’attore friulano riprende di tanto in tanto, ed ora proposto nella bella rassegna romana Inediti Ospiti, teatro condiviso, in riferimento alle modalità organizzative e allo spirito che la anima.

 

In una dimensione casalinga, intima, Orson Welles’ roast è un omaggio all’insegna della graticola: un arrosto cucinato all’anglosassone, cioè una presa in giro affettuosa. Cuoco dell’operazione, appunto, Battiston, che ha trucco, movenze lente, voce pigra e, soprattutto, quella stazza corpulenta che restituisce, con stupefacente bravura, oltre l’immedesimazione, tutto il peso di una figura mitica del cinema e del teatro. Attraverso la raccolta di interviste, aneddoti e libere invenzioni, Battiston, dapprima dimesso, poi con crescenti impennate, imbastisce un testo esilarante, a tratti affettuosamente acido, morbidamente cattivo, incarnando una dimensione fragilmente umana del regista, attore e scrittore americano.

 

Ne viene fuori quel personaggio scomodo all’interno dello star-system hollywoodiano che non risparmiava invettive a produttori e sponsor. Parla dell’amore per Falstaff del musical Il giro del mondo in ottanta giorni con le musiche di Cole Porter; della cronica mancanza di soldi per i film e dei tempi lunghi per il montaggio. Emergono i segreti della sua tecnica e l’artista geniale che a soli 25 anni creò quel capolavoro che è Quarto potere; che mise in scena, indebitandosi, un’edizione storica di Macbeth con duecento attori neri; e quel sogno irrealizzato di fare il prestigiatore. Emerge molto altro ancora in questo monologo – coideato e diretto da Michele De Vita – che ha bisogno semplicemente di due bauli trasformabili, di un panino per parlare del cibo e di una melanzana con dei bastoncini conficcati per evocare la storia degli alieni. Perché il vero comunicatore, che riempie la scena, è Battiston.

 

L’attore sarà ancora in teatro il 28 e 29 con Gente in attesa – il precario e il professore con Piero Sidoti: piccole storie quotidiane sui disagi e le contraddizioni della nostra epoca cantate tra musica e parole attraverso figure di margine che narrano la loro precarietà di vita.

 

Roma, Teatro Sala Uno. La rassegna prosegue fino al 20 maggio. www.ineditiospiti.it 

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