Com’è possibile che sia successo?

Ma come si è potuti arrivare a una tale esplosione di violenza? È la domanda che la Francia intera si è posta giorno dopo giorno nelle due settimane di tumulti nelle periferie di Parigi e di altre grandi città, coll’inevitabile trafila di automobili bruciate, di pompieri aggrediti, di scuole e altri edifici pubblici attaccati, saccheggiati e dati alle fiamme… Se è vero che alcuni estremisti religiosi, assolutamente minoritari va detto, hanno tentato di sfruttare la situazione; e se è pure vero che dei capibanda da borgata si sono sforzati di sfidare la polizia che voleva smantellare le reti dei loro traffici più o meno illeciti, non si può negare che le radici del problema siano ben più profonde di quanto non appaia. Non si nasce disoccupati, violenti, delinquenti, ma lo si diventa, a causa del contesto sociale che offre solamente un orizzonte chiuso: un muro invalicabile, ineluttabile. Quando scuola, lavoro, famiglia, habitat, relazioni sociali fanno rima solo con sconfitta; quando discriminazione razziale e umiliazione diventano una litania; quando cresce in te la frustrazione dovuta ad una società schiava del consumismo che ti fa credere che tu esisti solo quando possiedi, mentre non puoi offrirti nulla di ciò che conta per la pubblicità… Allora ecco che l’esplosione evidenzia delle radici precise. I gruppi hip-hop con le loro canzoni dalle parole arrabbiate (il che è dire poco), i sindacalisti e gli assistenti sociali che operano nelle periferie (senza il cui lavoro l’esplosione sarebbe stata ancora peggiore) avevano predetto da tanto tempo questa esplosione: Un giorno o l’altro scoppierà tutto!, cantava un gruppo musicale. Ma non si è stati capaci di ascoltarli. E allora, il giovane che proclama che non ha più niente da perdere e non trova altro che la violenza come mezzo di espressione, diventa una vera e propria potenziale bomba umana. I dirigenti politici del paese, oltremodo spaventati dagli eventi, hanno puntato tutto sulla speranza che tutto ciò passasse senza che ciò creasse problemi maggiori per lo status quo sociale. Errore, grave errore! Se è stata necessaria tutta questa violenza perché i nostri problemi fossero presi in considerazione – finalmente! -, non mi dispiace che la mia macchina sia stato bruciata, commentava un abitante delle borgate parigine toccate dagli scontri. Saprà la società francese ascoltare questo grido di allarme?, si chiedono ormai i responsabili politici, religiosi e sociali. La repressione – che pur è necessaria – non basta; la calma ritornata non deve essere scambiata per un falso ritorno alla normalità. L’aumento delle sovvenzioni alle associazioni (che, va detto, non smettevano di diminuire da anni!), l’assistenza ai giovani disoccupati… le misure di emergenza varate dal governo in tutta fretta non devono dare l’illusione che tutto sarà regolato in cento giorni, come qualcuno promette, e non devono in alcun modo mascherare i problemi di fondo. Guai a creare nuove strutture se non si pone uno sguardo nuovo sulle persone. Se la nostra società non cambia radicalmente i suoi comportamenti, noi ci infileremo dritti dritti in un vicolo cieco, ammoniva l’anno scorso sulle colonne dei nostri corrispondenti di Nouvelle Cité Jean-Louis Sanchez, presidente della Grande causa della fraternità 2004. Bisogna insomma passare da una solidarietà di diritto ad una solidarietà di impegno, in cui ciascuno si senta responsabile. Dialogate, create legami sociali intorno a voi, nel vostro quartiere, nelle vostre associazioni, nei sindacati… , non cessano di ripetere tutti quelli che sono in prima linea sul fronte delle nostre periferie. Li ascolteremo, finalmente, o dovremo ancora aspettare un’altra esplosione di violenza per muoverci?

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