Come petali di una rosa

Chiara e le sue prime compagne si impegnano a vivere la Parola nella vita quotidiana con radicalità. Fiorisce così un nuovo stile di vita improntato all’amore evangelico, verso tutti. Poveri, ricchi, uomini, donne, credenti e non credenti. Uno stile che presto conquista tanti. Il racconto nelle pagine de Abbiamo creduto all’amore di Tanino Minuta, appena uscito per i tipi di Città Nuova
abbiamo creduto all'amore_copertina

Il Terz’ordine francescano fu l’alveo che vide nascere quel gruppo che nel Vangelo trovava suggerimenti per vivere. Attorno a loro, la gente che cercava o che offriva aiuto aumentava, assieme a un entusiasmo che non poteva restare inosservato.

Appena finita la guerra erano diventate, infatti, circa 500 le persone di ogni età, condizione sociale e vocazione che condividevano la vita delle ragazze della “casetta”. Ogni cosa fra loro era in comune, come accadeva nelle prime comunità cristiane. La Parola era come il lievito nella massa, ma ciò esigeva un continuo ricominciare. Un amore sempre nuovo.

Raccontava Giosi: «In piazza Cappuccini non c’era niente. Nello stesso tempo però c’era tutto: per noi e per gli altri. Era logico che non ci fosse niente: se c’era qualcosa si dava. Portavamo a casa i nostri stipendi, li mettevamo in comune e i primi a cui si pensava erano i nostri genitori che dovevamo sostenere. (…) Venivano anche altre persone a chiedere: davamo anche a loro. Si dava sempre, si dava tutto. Tante volte dovevamo vivere di provvidenza ed era più bello ancora.

Ci fu un mese, un febbraio, in cui dovevamo e quasi volevamo vivere a pane e acqua, poiché avevamo dato tutto. Siamo riuscite a vivere a pane e acqua solo una mattina a colazione: il Signore non si lascia vincere in generosità da quattro ragazze. A chi da, sarà dato. Date senza speranza di ritorno, è Vangelo anche questo. Però quando ne avevamo bisogno, quelli ai quali avevamo prestato dei soldi ce li riportavano. Arrivavano talmente a proposito che quasi ci veniva da dire: meno male che quella volta li abbiamo dati! Era un giro continuo. Una volta abbiamo regalato ai sinistrati tutti i nostri vestiti, fuorché quello che avevamo addosso. Naturalmente si è consumato presto e non avevamo i soldi per comperarne un altro. Certi ci guardavano, ma a noi non importava niente: avevamo il cuore da un’altra parte. Avevamo il cuore in Dio e per noi era una tale ricchezza che delle cose che ci mancavano non ce ne accorgevamo.

(…) In seguito abbiamo capito che ci sono anche altri poveri, che possono avere anche un’apparenza di ricchezza ma, poiché mancano di Dio, sono forse più poveri dei poveri. E non bastava che dessimo pane a sufficienza a chi ne aveva bisogno: dovevamo dare soprattutto Dio. Anche il pane, è logico. (…) Abbiamo capito che veramente Gesù è venuto per tutti, che tutti abbiamo bisogno di Dio».

Ada Schweitzer, detta Vitt, è stata quella che ha tolto “le pentole di mano” a Chiara. Fino a quel momento, infatti, era stata Chiara che, rimanendo a casa a studiare (era iscritta all’università Ca’ Foscari di Venezia), preparava da mangiare per le sue compagne che lavoravano in vari posti della città.

In una chiacchierata con lei Oreste Paliotti racconta un episodio che mostra come “vedere in ogni prossimo Gesù” fosse per le focolarine un chiodo fisso.

«Un giorno bussò alla porta del primo focolare un povero, uno dei tanti che si rivolgevano lì con la certezza di ricevere un aiuto. Dopo averlo accolto, Vitt si consultò con Chiara: “Cosa abbiamo in casa?”, s’informò lei. “Soltanto un uovo…”. “Beh, faglielo sbattuto con lo zucchero insieme all’albume, così aumenta”. Vitt confessava candidamente: “Quell’uovo lo avrei mangiato con gli occhi, dalla fame che avevo”. Il povero, però, dopo un assaggio lo risputò nella tazza. Avvilita per quello spreco, considerati i tempi che correvano, Vitt cercò comprensione da Chiara, che la rassicurò: “Che importa? Noi l’abbiamo dato a Gesù”. Il giorno stesso la provvidenza fece arrivare tante uova».

Non sempre regnava la piena armonia. «Eravamo diverse – ricorda Dori –: una vedeva le cose in una maniera, una le vedeva nell’altra. Allora rimanevamo come sospese nell’aria… Chiara escogitò quello che da allora in poi si chiama il “patto di misericordia”. Lei ci incoraggiava dicendoci che Gesù non solo perdona i peccati, ma li dimentica. Così dovevamo fare anche noi: guardarci come se ci incontrassimo per la prima volta. Alzarsi al mattino come se ci conoscessimo in quel momento».

Tanino Minuta, Abbiamo creduto all'amore, (Città Nuova, € 9.00)

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons