Come l’acqua del suo lago
Quella mattina, Carla arriva in cucina con il suo sorriso franco, che apre alla confidenza. Alla focolarina che si trova a far colazione, dice: Oggi voglio stupirmi. Quelle parole, pronunciate con leggerezza, risuonano come un invito ad iniziare il cammino della giornata con sguardo limpido e cuore grande. Carla continua con semplicità, dicendo di aver meditato poco prima il brano del Vangelo in cui Gesù va incontro ai discepoli camminando sulle acque. I discepoli all’inizio si erano spaventati, pensando di aver visto un fantasma. Poi, costatato che era lui, si stupirono. Così anch’io – dice – nell’incontro con ogni fratello voglio provare stupore, perché in lui c’è Gesù. Sì, mi devo stupire. L’aspettano degli appuntamenti con le comunità dei Focolari di Emilia Romagna e Marche, a Bologna. Proprio all’inizio del programma pomeridiano, domenica 13 gennaio, la sorpresa. Mentre scende le scale col suo consueto passo che, nonostante gli 82 anni, è ancora elastico, cade rovinosamente. La corsa in ospedale, la situazione appare da subito gravissima. Due giorni dopo muore. Carla era una delle giovani che, nei tempi di guerra, aderirono all’ideale evangelico dell’unità. Il papà, direttore didattico di un circolo comprendente vari paesi tra le vallate trentine, era molto stimato per le sue doti professionali e umane. Rimase vedovo ancora giovane con cinque bambini piccoli. Furono accolti dalla nonna paterna e dalla zia Stefania. Carla era una bambina intelligente e sensibile e crebbe circondata dall’affetto e dalle attenzioni dei suoi cari. Ma nel cuore cresceva il vuoto e il rimpianto per la perdita della mamma, a soli tre anni. Frequentò con profitto l’istituto magistrale. Se non ci fosse stata la guerra, avrebbe voluto specializzarsi in Scienze dell’educazione. Invece, dopo il terribile bombardamento del 13 maggio ’44 a Trento, le lezioni furono sospese. Le scuole si chiusero ed io – avrebbe più tardi raccontato – fui promossa con i voti dello scrutinio. Ero dunque maestra. Malgrado la guerra, Carla trascorse un’adolescenza serena. In famiglia si viveva una fede solida e sentita, forse un po’ austera. Carla ricorda un episodio capitatole mentre frequentava la quarta magistrale. Venne come professore di religione un giovane sacerdote, aperto, con lo sguardo semplice e sereno. Un giorno chiese se avevamo delle domande da fargli o qualche problema che potevamo scrivergli personalmente… Io gli apersi il mio animo. Solo l’ultimo giorno di scuola, scrivendo a tutte un suo pensiero, a me diceva: Limpida come l’acqua del tuo lago ti sia la vita sotto l’azzurro di un cielo immacolato. Finita la guerra, la famiglia Marchesoni, che nel frattempo era sfollata, tornò in città. Era difficile riprendere una vita normale, dopo tanti disagi e devastazioni. Così la ricorda Doriana Zamboni, una delle prime compagne di Chiara Lubich: Le nostre due famiglie abitavano non molto distanti, e suo padre mi diceva: Signorina, venga a trovare la mia Carla. Non sapeva, il premuroso papà, che quel suo desiderio era stato esaudito, e nel migliore dei modi. Era successo infatti che Carla era stata invitata a recarsi un giorno di sabato nella Sala Massaia, in via San Marco, un locale noto nella storia dei Focolari, perché luogo di incontro della comunità nascente. Vi trovò un gruppo di ragazze intente a confezionare dei pacchi di viveri per i poveri. L’accolsero con calore, e così tornò. Fui subito con loro – dirà -. Mi colpì il linguaggio: Gesù per loro era veramente una persona, vicina, con cui parlare a tu per tu. Anch’io ricevevo Gesù ogni mattina, ma chi era per me? Guardavo a tutto quello che queste nuove giovani donne facevano, a come si muovevano. Conobbi Ginetta, Lia, Graziella, Gis, Vale…. Cioè le prime compagne di Chiara. E tra queste anche Doriana Zamboni, alias Dori, e la stessa Chiara, che Carla aveva già visto altre volte alla chiesa del Santissimo; ma era la prima volta che la sentiva parlare di Gesù, del suo dolore, del suo amore, tutto nuovissimo: mi sembrava di stare in Paradiso, dirà Carla. Ebbe inizio una vita nuova, illuminata e scandita dalle parole del Vangelo che, una dopo l’altra, calavano nella sua realtà di ogni giorno. In attesa di poter insegnare nelle scuole pubbliche, ricevette un’offerta di lavoro a Milano, come insegnante privata di due fratelli. L’esperienza così diversa la portò ad allentare un po’ l’intensità della sua vita spirituale. Dori continuò tuttavia a scriverle da Trento parole che la facevano pensare; ma cercava di convincersi che lei non poteva vivere quanto l’altra le proponeva. Ma non era possibile dimenticare quelle giovani… Tornò a Trento per le ferie e incontrò Dori alla quale raccontò a lungo del nuovo mondo in cui viveva, mostrandole le foto fatte con gli sci e in Riviera… Due anni così, ma quell’esistenza agiata non le bastava. Si licenziò, approfittando di un concorso magistrale, e fece ritorno a Trento. L’8 dicembre 1951 fu un giorno indimenticabile per Carla. Ascoltai la messa in duomo, poi mi recai in focolare. Lia mi raccontò di come avesse lasciato tutto per seguire Gesù. Ad un tratto mi disse: E tu, Carla, cosa vuoi?. Le risposi: Questo. Pochi giorni dopo chiese a suo padre il permesso di iniziare quella nuova vita. La Madonna e tua mamma ti benedicano , fu la risposta. Era il 6 gennaio 1952. La città era ricoperta da un manto bianco di neve. La storia di Carla si intrecciò saldamente con quella di Chiara e delle sue compagne. Quanti l’hanno conosciuta – così la Lubich – possono testimoniare la sua ricchezza spirituale e intellettuale, il suo amore senza limiti sempre presente come un angelo, il suo impegno per costruire l’unità dovunque Dio la volesse. Si è donata con amore senza misura, testimoniano ora dovunque lei è passata. Ide Manici, responsabile del movimento in Emilia Romagna, ricorda: Tornata a cercare le cose di Carla da portare in ospedale, nella sua stanza c’era un’aria che definirei sacra, un’armonia speciale, le cose erano nei cassetti ordinatissimi, il libretto sanitario subito lì pronto, sembrava tutto già preparato con distacco per qualcuno che avrebbe dovuto cercare le sue cose con facilità. Allo stesso modo la ricordano, da Trento alla Sicilia, visti i molteplici impegni che assunse ininterrottamente, sin dal 1968, presso il centro propulsore del movimento, fino all’inatteso compito degli ultimi cinque anni, allorché cominciò ad occuparsi con altri, con rara sensibilità, del vasto ambito degli influssi della spiritualità dell’unità nella pedagogia. Un lavoro di ricerca e di vita insieme. Pronta, come sempre, a passare col suo sorriso disarmante il testimone. ORFANEZZA Un ricordo personale di Francesco Châtel, membro della Commissione di EdU (Educazione e Unità), e nostro collaboratore. L’immagine che si presenta al mio cuore, pensando a Carla, è quella di una stella. Sì, una stella luminosa perché morta a sé stessa, che ha però saputo indicare la rotta a tanti, illuminando in modo particolare il cammino di coloro che, alla luce dello spirito dell’unità, lavorano in pedagogia. Seconda immagine: maestra e madre. È un’altra figura alla quale spontaneamente tutti noi suoi primi collaboratori ci siamo riferiti sperimentando, fin dalla notizia dell’incidente, un qual senso di orfanezza. Una madre che faceva casa, ascoltava, trasmetteva i valori della famiglia, generava continuamente vita, quella che donava senza bisogno di parlare. La nostra attività di ricerca non prendeva il via se non dopo un momento in cui rinnovavamo il proposito di anteporre al lavoro l’amore reciproco. Così nelle attività organizzate, come gli Incontri pedagogici a Bologna e Benevento, oltre al lavoro svolto con l’Università di Zagabria sotto la direzione dei professori Mile Silov e Michele De Beni, un Corso di perfezionamento sulla pedagogia di comunione. Fino alla costituzione di veri e propri poli di pedagogia di comunione accanto ad alcune cittadelle dei Focolari nel mondo.