Come gestire il conflitto?

Quali sono le condizioni che ci aiutano a vivere il conflitto in modo costruttivo? Quali gli atteggiamenti più corretti per una sua soluzione positiva? La illuminante riflessione di Ugo Morelli in Il conflitto generativo (Città Nuova, 2014).
il conflitto generativo

Le condizioni per una posizione di negazione o di possi­bilità di elaborazione del conflitto sono molteplici. Se ne pos­sono considerare alcune in grado di favorire il riconoscimento dei vincoli e delle opportunità di elaborazione del conflitto nel rapporto tra dinamica dei processi di gestione e situazioni di incertezza proprie di ogni processo conflittuale. […] Perché comunque possa esservi un’evoluzione effi­cace dell’elaborazione del conflitto, vi sono alcune condizioni riconoscibili come favorevoli. Cerchiamo di considerarle una alla volta a partire, come abbiamo già detto, dall’attenzione o dalla ricerca per individuare un interesse comune anche mini­mo a evitare l’antagonismo.

La prima condizione da considerare è la buona disponibili­tà a cercare di passare da una visione moralistica ad una visione basata sull’analisi psicologica e sociale, con orientamento scien­tifico, delle condizioni conflittuali facendo un esame di realtà appropriato. Come abbiamo già sostenuto, infatti, il condizio­namento degli orientamenti moralistici rappresenta un ostacolo particolare alla possibilità di accedere al conflitto, di riconoscer­lo e di praticarlo. Gli orientamenti moralistici tentano di agire, mediante l’invocazione, sugli orientamenti soggettivi e trascura­no la relazione come luogo dei vincoli e delle possibilità di una buona elaborazione del conflitto.

La seconda condizione mira a sollecitare il riconosci­mento del fatto che una decisione è sempre interdipendente e coinvolge la rete di relazioni presenti; l’unità di analisi per una buona ed efficace gestione del conflitto è, perciò, data dalle relazioni e in particolare dalle relazioni esistenti, in atto, così come esse si esprimono concretamente nella situazione conflittuale. Lo spostamento dell’attenzione dal soggetto alla relazione risulta una delle condizioni essenziali per accedere al conflitto, evitare l’accanimento terapeutico sul soggetto, e cercare almeno un punto in comune nelle posizioni in gioco. La terza condizione consiste nel considerare che aspetta­tive diverse possono diventare reciproche, combinandosi in alcuni aspetti e non in tutti. Non è necessario, infatti, che vi sia accordo su tutti gli aspetti o sulla maggioranza degli aspetti. Una buona gestione del conflitto trova le proprie opportunità soprattutto nella disposizione ad agire sulla parte. Fosse anche minima, quella parte rappresenta lo spazio comune sul quale è possibile costruire un’estensione delle possibilità di dialogo, di confronto e di ricerca di soluzioni terze rispetto alla prima e alla seconda che si stanno confrontando.

La quarta condizione riguarda la valorizzazione dell’esi­stenza di almeno un interesse comune. Un interesse comune non è facile da cercare e riconoscere. Si tratta spesso di arre­trare almeno in parte rispetto alle posizioni assunte quando il conflitto è insorto. Arretrando può accadere che si riconosca almeno un fattore accomunante, almeno un interesse a evi­tare il degrado antagonistico, almeno un vantaggio che può derivare da una buona gestione del dialogo e del conflitto. Se ciò accade un interesse comune emergerà e prenderà forma, costituendo la base possibile per l’avvio di una buona gestione evolutiva del conflitto in corso.

La quinta condizione mira a evidenziare l’importanza di sviluppare attenzione al campo relazionale curando le interdi­pendenze e agendo in quel contesto che viene così a crearsi con ascolto e considerazione delle dinamiche che emergono. Sono le dinamiche emergenti, infatti, quelle che meritano la maggiore attenzione, prima di tutto perché non erano previste all’inizio, e poi perché danno al processo di gestione del conflitto una di­mensione di produttività, evidenziando le potenzialità generati­ve del conflitto stesso.

La sesta condizione riguarda la ricerca del tentativo che co­loro che interagiscono, chiariscano sistematicamente le rispet­tive autonomie in relazione. Uno dei limiti nella buona gestio­ne del conflitto consiste nel ritenere che una soluzione si possa trovare solo rinunciando alla propria autonomia, alle proprie posizioni, al proprio stile; che si possa entrare in un dialogo non antagonistico e quindi conflittuale con l’altro, solo rinunciando a se stessi. Tendenzialmente questa posizione è una posizione che porta a rischi di fallimento in quanto nella buona gestione del conflitto sia l’autonomia che la disposizione a dipendere dal punto di vista altrui valorizzandolo, sono necessarie e indispen­sabili.

La settima condizione, pertanto, è strettamente connessa alla sesta e indica l’importanza di prestare continua attenzione al punto di vista dell’altro, cercando di evitare di negarlo, di giudicarlo o prevaricarlo.

[…]

 

Da quanto abbiamo detto finora sembra particolarmente importante sottolineare che presumere che la strategia migliore per negoziare e gestire efficacemente i conflitti sia puramente razionale è prevalentemente insufficiente, se non errato. Quel­lo che accade nella realtà è che i sentimenti di ostilità che pos­sono intervenire alla base di una situazione conflittuale sono fondati in buona misura su una dimensione emozionale che si situa a livello di esigenze primarie.

[…]

 Se si considera quindi il processo psicodi­namico con implicazioni affettive e cognitive che sottende ogni situazione conflittuale, vale la pena prendere in esame alcune delle considerazioni che possono sintetizzare quanto sostenu­to finora a proposito dei suggerimenti e degli errori da evitare nella gestione del conflitto.

In primo luogo sembra importante suggerire la rilevanza della presa d’iniziativa. Le situazioni con­flittuali sono tali da diventare sempre più problematiche quan­to più tempo si lascia trascorrere prima di intervenire. Nono­stante le resistenze a prendere l’iniziativa, vale la pena cercare di impegnarsi a non aspettare che le emozioni predominino e a non reagire quando è ormai tardi, assumendo un atteggiamen­to preventivo. Allo stesso tempo è molto importante cercare di concentrarsi, come abbiamo già detto, sulla parte e non sul tutto ed è altrettanto importante affrontare il problema, non le emozioni che sottostanno al problema, in quanto una posi­zione di concretezza favorisce una buona riuscita nell’elabo­razione del conflitto. Dare valore a tutte le posizioni in gioco, anche quelle che suscitano particolari resistenze a noi per la differenza che ci propongono, è una condizione fondamenta­le nella gestione del conflitto.

È importante comunicare la no­stra comprensione delle posizioni altrui perché nel momento in cui l’altro si sente apprezzato può darsi che si disponga più facilmente ad apprezzare noi stessi.

Non bisogna trascurare, nel corso di un processo di elaborazione del conflitto, il rischio di solitudine che ciascuna persona coinvolta affronta. Risulta perciò decisivo favorire una relazione in grado di far sentire affiliati i partecipanti. Prestare attenzione agli altri e favorire l’affiliazione non significa, tuttavia, mettere in discussione la propria autonomia nel processo di elaborazione.

Abbiamo già detto come sia importante la manifestazio­ne dell’autonomia individuale come condizione per avere una posizione riconoscibile e per essere di fatto riconosciuti. Al­trettanto importante, per non mettere in discussione lo sta­tus di nessuno di coloro che partecipano al processo di ela­borazione del conflitto, è non trascurare mai il fatto che ogni persona ha un proprio status, un proprio orientamento e una propria autostima. La valorizzazione di questi fattori può ri­sultare significativamente facilitante ai fini di una elaborazione efficace di relazioni conflittuali. Ognuno dei partecipanti alla gestione delle situazioni conflittuali ha un ruolo e quel ruolo è fatto sia della posizione che uno occupa nell’arco nel cor­so della propria vita, sia del ruolo che assume nella gestione della relazione conflittuale. Importante è il rispetto dei ruoli in gioco ai fini di un’efficacia dei risultati. Come sostengono Roger Fischer e Daniel Shapiro «noi non possiamo smettere di provare emozioni proprio come non possiamo smettere di pensare». La sfida è imparare a suscitare emozioni uniche in coloro con i quali ci troviamo a gestire una situazione conflit­tuale, e in noi stessi.

Da Ugo Morelli, Il conflitto generativo, la responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza (Città Nuova, 2014)

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