Come gestire il conflitto?
Le condizioni per una posizione di negazione o di possibilità di elaborazione del conflitto sono molteplici. Se ne possono considerare alcune in grado di favorire il riconoscimento dei vincoli e delle opportunità di elaborazione del conflitto nel rapporto tra dinamica dei processi di gestione e situazioni di incertezza proprie di ogni processo conflittuale. […] Perché comunque possa esservi un’evoluzione efficace dell’elaborazione del conflitto, vi sono alcune condizioni riconoscibili come favorevoli. Cerchiamo di considerarle una alla volta a partire, come abbiamo già detto, dall’attenzione o dalla ricerca per individuare un interesse comune anche minimo a evitare l’antagonismo.
La prima condizione da considerare è la buona disponibilità a cercare di passare da una visione moralistica ad una visione basata sull’analisi psicologica e sociale, con orientamento scientifico, delle condizioni conflittuali facendo un esame di realtà appropriato. Come abbiamo già sostenuto, infatti, il condizionamento degli orientamenti moralistici rappresenta un ostacolo particolare alla possibilità di accedere al conflitto, di riconoscerlo e di praticarlo. Gli orientamenti moralistici tentano di agire, mediante l’invocazione, sugli orientamenti soggettivi e trascurano la relazione come luogo dei vincoli e delle possibilità di una buona elaborazione del conflitto.
La seconda condizione mira a sollecitare il riconoscimento del fatto che una decisione è sempre interdipendente e coinvolge la rete di relazioni presenti; l’unità di analisi per una buona ed efficace gestione del conflitto è, perciò, data dalle relazioni e in particolare dalle relazioni esistenti, in atto, così come esse si esprimono concretamente nella situazione conflittuale. Lo spostamento dell’attenzione dal soggetto alla relazione risulta una delle condizioni essenziali per accedere al conflitto, evitare l’accanimento terapeutico sul soggetto, e cercare almeno un punto in comune nelle posizioni in gioco. La terza condizione consiste nel considerare che aspettative diverse possono diventare reciproche, combinandosi in alcuni aspetti e non in tutti. Non è necessario, infatti, che vi sia accordo su tutti gli aspetti o sulla maggioranza degli aspetti. Una buona gestione del conflitto trova le proprie opportunità soprattutto nella disposizione ad agire sulla parte. Fosse anche minima, quella parte rappresenta lo spazio comune sul quale è possibile costruire un’estensione delle possibilità di dialogo, di confronto e di ricerca di soluzioni terze rispetto alla prima e alla seconda che si stanno confrontando.
La quarta condizione riguarda la valorizzazione dell’esistenza di almeno un interesse comune. Un interesse comune non è facile da cercare e riconoscere. Si tratta spesso di arretrare almeno in parte rispetto alle posizioni assunte quando il conflitto è insorto. Arretrando può accadere che si riconosca almeno un fattore accomunante, almeno un interesse a evitare il degrado antagonistico, almeno un vantaggio che può derivare da una buona gestione del dialogo e del conflitto. Se ciò accade un interesse comune emergerà e prenderà forma, costituendo la base possibile per l’avvio di una buona gestione evolutiva del conflitto in corso.
La quinta condizione mira a evidenziare l’importanza di sviluppare attenzione al campo relazionale curando le interdipendenze e agendo in quel contesto che viene così a crearsi con ascolto e considerazione delle dinamiche che emergono. Sono le dinamiche emergenti, infatti, quelle che meritano la maggiore attenzione, prima di tutto perché non erano previste all’inizio, e poi perché danno al processo di gestione del conflitto una dimensione di produttività, evidenziando le potenzialità generative del conflitto stesso.
La sesta condizione riguarda la ricerca del tentativo che coloro che interagiscono, chiariscano sistematicamente le rispettive autonomie in relazione. Uno dei limiti nella buona gestione del conflitto consiste nel ritenere che una soluzione si possa trovare solo rinunciando alla propria autonomia, alle proprie posizioni, al proprio stile; che si possa entrare in un dialogo non antagonistico e quindi conflittuale con l’altro, solo rinunciando a se stessi. Tendenzialmente questa posizione è una posizione che porta a rischi di fallimento in quanto nella buona gestione del conflitto sia l’autonomia che la disposizione a dipendere dal punto di vista altrui valorizzandolo, sono necessarie e indispensabili.
La settima condizione, pertanto, è strettamente connessa alla sesta e indica l’importanza di prestare continua attenzione al punto di vista dell’altro, cercando di evitare di negarlo, di giudicarlo o prevaricarlo.
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Da quanto abbiamo detto finora sembra particolarmente importante sottolineare che presumere che la strategia migliore per negoziare e gestire efficacemente i conflitti sia puramente razionale è prevalentemente insufficiente, se non errato. Quello che accade nella realtà è che i sentimenti di ostilità che possono intervenire alla base di una situazione conflittuale sono fondati in buona misura su una dimensione emozionale che si situa a livello di esigenze primarie.
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Se si considera quindi il processo psicodinamico con implicazioni affettive e cognitive che sottende ogni situazione conflittuale, vale la pena prendere in esame alcune delle considerazioni che possono sintetizzare quanto sostenuto finora a proposito dei suggerimenti e degli errori da evitare nella gestione del conflitto.
In primo luogo sembra importante suggerire la rilevanza della presa d’iniziativa. Le situazioni conflittuali sono tali da diventare sempre più problematiche quanto più tempo si lascia trascorrere prima di intervenire. Nonostante le resistenze a prendere l’iniziativa, vale la pena cercare di impegnarsi a non aspettare che le emozioni predominino e a non reagire quando è ormai tardi, assumendo un atteggiamento preventivo. Allo stesso tempo è molto importante cercare di concentrarsi, come abbiamo già detto, sulla parte e non sul tutto ed è altrettanto importante affrontare il problema, non le emozioni che sottostanno al problema, in quanto una posizione di concretezza favorisce una buona riuscita nell’elaborazione del conflitto. Dare valore a tutte le posizioni in gioco, anche quelle che suscitano particolari resistenze a noi per la differenza che ci propongono, è una condizione fondamentale nella gestione del conflitto.
È importante comunicare la nostra comprensione delle posizioni altrui perché nel momento in cui l’altro si sente apprezzato può darsi che si disponga più facilmente ad apprezzare noi stessi.
Non bisogna trascurare, nel corso di un processo di elaborazione del conflitto, il rischio di solitudine che ciascuna persona coinvolta affronta. Risulta perciò decisivo favorire una relazione in grado di far sentire affiliati i partecipanti. Prestare attenzione agli altri e favorire l’affiliazione non significa, tuttavia, mettere in discussione la propria autonomia nel processo di elaborazione.
Abbiamo già detto come sia importante la manifestazione dell’autonomia individuale come condizione per avere una posizione riconoscibile e per essere di fatto riconosciuti. Altrettanto importante, per non mettere in discussione lo status di nessuno di coloro che partecipano al processo di elaborazione del conflitto, è non trascurare mai il fatto che ogni persona ha un proprio status, un proprio orientamento e una propria autostima. La valorizzazione di questi fattori può risultare significativamente facilitante ai fini di una elaborazione efficace di relazioni conflittuali. Ognuno dei partecipanti alla gestione delle situazioni conflittuali ha un ruolo e quel ruolo è fatto sia della posizione che uno occupa nell’arco nel corso della propria vita, sia del ruolo che assume nella gestione della relazione conflittuale. Importante è il rispetto dei ruoli in gioco ai fini di un’efficacia dei risultati. Come sostengono Roger Fischer e Daniel Shapiro «noi non possiamo smettere di provare emozioni proprio come non possiamo smettere di pensare». La sfida è imparare a suscitare emozioni uniche in coloro con i quali ci troviamo a gestire una situazione conflittuale, e in noi stessi.
Da Ugo Morelli, Il conflitto generativo, la responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza (Città Nuova, 2014)