Come germe di grano
Ministro di Gorbaciov durante la Perestrojka, poi ambasciatore della Kirghisia in Lussemburgo e in Belgio, Tschingis Aitmatov è una delle figure di massimo spicco mai espresse dal popolo kirghiso. Nei suoi romanzi, pieni di nostalgia, lirismo e passionalità, il destino degli uomini si misura con i contrasti fra tradizione e progresso, pregiudizio e libertà, bellezza e degrado. Dopo essersi imposto all’attenzione del pubblico russo e internazionale con Melodia della terra, col successivo Il battello bianco, che ha suscitato vivaci discussioni in patria, è stato definitivamente consacrato come uno dei letterati russi più ascoltati e autorevoli. Entrambi i romanzi sono ora tradotti in italiano per i tipi di Marcos y Marcos. Ambientato in un piccolo villaggio della Kirghisia, Melodia della terra s’impernia sulla vicenda di Giamilja, una ragazza splendida ma anche ruvida, tenace, ribelle. Suo marito Sadyk presta servizio militare al fronte, ma nelle lettere che spedisce ai familiari le riserva pochissime attenzioni, sembra quasi averla dimenticata. Danijar invece, un uomo timido e un po’ ombroso che dal fronte ha appena fatto ritorno a causa di una ferita, si innamora perdutamente di lei. Man mano che il loro amore affiora e prende il volo, in Seit, il giovanissimo cognato di Giamilja che avverte tutta la forza di quell’attrazione, sboccia un desiderio incontenibile, rivelatore di una vocazione artistica: rendere tangibile e immortale la bellezza di quello slancio. Camminavo e li guardavo, mentre, dimenticata ogni altra realtà, si dondolavano al ritmo della canzone. E io non li riconoscevo più. Eppure era sempre Danijar, col suo logoro camiciotto da soldato sbottonato sul collo: ma pareva che i suoi occhi ardessero nell’oscurità. Era sempre la mia Giamilja, stretta a lui, timida e muta, con lacrime scintillanti sulle ciglia. Erano due creature nuove, stupendamente felici. E non era quella, forse, la felicità? Perché Danijar le aveva fatto omaggio di tutto l’immenso amore della terra natia che aveva generato in lui quella musica ispirata; cantava per Giamilja, cantava lei. La stessa misteriosa emozione che sempre mi veniva dalle canzoni di Danijar s’impadronì di nuovo di me. E improvvisamente mi divenne chiaro ciò che volevo.Volevo dipingerli. In questa parabola piena di echi rurali, di sapori mediorientali, permeata dalla potenza e dalla purezza del canto, amore, bellezza e vocazione artistica trovano una rappresentazione semplice ed esemplare, di intensa suggestione. Anche Il battello bianco, considerato il capolavoro di Aitmatov, è ambientato in Kirghisia. Tra magnifiche montagne, c’è un posto di guardia, un pugno di case affacciate su un torrente. Ci abitano tre famiglie e un unico bambino rima- sto senza genitori, affidato alle cure di nonno Momun, la bontà personificata e ineguagliabile narratore di antiche leggende. Come quella di una grande cerva bianca dalle ramose corna, causa di salvezza per un’intera stirpe. Protagonista di questo racconto è proprio il bambino, al quale volutamente l’autore non dà un nome perché chiunque possa identificarsi in lui. Ogni cosa, ogni evento è visto e attraverso i suoi occhi puri. Egli parla con i sassi, le cose, la cartella di cui va fiero, il binocolo col quale, dall’alto del Monte Sentinella, assiste al passaggio, ogni sera, di un battello bianco, sul quale immagina il padre tanto atteso. E sogna di tuffarsi e di trasformarsi in pesce per andargli incontro. A turbare l’armonia di questo mondo semplice e fiabesco è il rozzo Orozkul, la guardia forestale, che quando beve diventa violento e infierisce sulla moglie, la sventurata figlia di Momun colpevole di non avergli dato dei figli. Sarà Orozkul la causa della morte sia della mitica cerva bianca, tornata ad abitare quelle selve quasi a portarvi un messaggio di salvezza, sia anche del bambino, che per sfuggire alla cruda realtà introdotta dagli adulti in quello che era stato il suo Eden selvaggio si getta in acqua sulla scia del battello bianco. Conclude l’autore stesso, indirizzandosi al piccolo scomparso: Una cosa sola posso dire, adesso: tu hai respinto quello che il tuo animo di bambino non poteva accettare. È questa la mia consolazione. Hai vissuto come un lampo – che brilla un’unica volta e poi si spegne. Ma i lampi sferzano il cielo… E anche mi consola che per l’umanità la coscienza dei bambini è come il germe di grano – senza germe, il grano non spunta. Con l’impeto e la visione di un grande narratore, Aitmatov mette in scena una tragedia universale, lo scontro tra slancio vitale limpido, gioioso e meschinità greve, cieca, disperante. Romanzo dai significati profondi, dove il dolore si trasfigura in poesia, Il battello bianco è da una parte condanna senza appello verso tutto ciò che è compromesso, volgarità e, in definitiva, travestimento del male, e dall’altra invito appassionato a salvare tutto il bene che può esserci. TSCHINGIS AITMATOV È nato nel 1928 a Kislar Seker, un villaggio del Kirghizistan. L’intera sua opera letteraria è impregnata delle tradizioni della propria terra assimilate dalla nonna. Nella veste di diplomatico ha sostenuto in sedi prestigiose come l’Onu e l’Unesco cause e battaglie delle minoranze etniche. Come politico, è stato fra i pionieri, negli anni Cinquanta, dell’ambientalismo e del pacifismo.