Come condurre a ragione l’Islam integralista?

Pubblichiamo la seconda parte dell'analisi sulle responsabilità dell'Occidente nella strage all'università di Garissa. Il mondo islamico deve superare i condizionamenti della teocrazia, altrimenti resterà vittima esso stesso del terrorismo
islam

(Continua l'analisi sulle responsabilità dei governi occidentali nella strage di Garisssa)

Il salafismo wahabita continua, intanto, imperterrito la sua propaganda delirante. Il Gran Mufti dell’Arabia, Sheikh Abdul Aziz bin Abdullah, ha dichiarato lo scorso 15 marzo che «è necessario distruggere tutte le chiese presenti nella regione del Golfo», a seguito della decisione del governo kuwaitiano di proibire l’edificazione di luoghi di culto cristiani sul proprio territorio. Perché finora i politici occidentali non hanno protestato con le autorità di Ryad per simili, aberranti affermazioni da parte del loro leader religioso?  E sì perché da una parte noi occidentali leviamo la nostra indignazione per le vittime terrorismo islamico, mentre poi i nostri governi fanno affari con i principati della Mezzaluna. Le nostre, inutile nasconderselo, rischiano d’essere davvero lacrime da coccodrillo e ha ragione papa Francesco nel dire che «il nostro silenzio è complice».  Cosa fare, dunque? 

La propaganda salafita di cui sopra, in effetti, trova la sua collocazione giuridica nella sharìa, un indirizzo in flagrante violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata il 10 dicembre 1948, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. D’altronde, non è un caso se allora furono pochissimi i Paesi Musulmani che parteciparono all’elaborazione e alla firma di tale dichiarazione. Molti entrarono nell’ONU successivamente ed accettarono un’adesione di principio alla Dichiarazione stessa, ma senza ratificare e firmare l’insieme degli accordi e dei protocolli.

Nell’ultimo trentennio, alcuni organismi islamici hanno formulato specifiche dichiarazioni che si rifanno alla visione occidentale, pur mantenendo nella loro essenza un approccio teocratico. Il problema di fondo è che nel mondo islamico la concezione dei diritti umani è fortemente condizionata dalla propria specifica identità culturale e religiosa. Basterebbe leggere la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nell’Islam adottata nel 1981 dal Consiglio islamico d’Europa, come anche la Dichiarazione del Cairo del 1990 elaborata dall’OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica) per rendersi conto del forte influsso della componente teologica islamica e del costante richiamo al dettato sciaraitico.

Solo nella Carta Araba dei Diritti dell’Uomo del 1994 è possibile individuare una valenza giuridica in qualche modo più laica, attribuibile alla necessità di allinearsi, sul piano formale, nella misura del possibile, agli standard internazionali sui diritti umani. Prendendo in esame queste Carte islamiche sorge, però, qualche dubbio sul fatto che esse possano essere considerate, dal punto di vista giuridico, documenti islamici di codificazione dei diritti umani. Nella maggior parte dei casi, si tratta di Carte con una forte connotazione declaratoria che non prevedono, ad esempio, l’istituzione di meccanismi di controllo effettivo sull’operato dei singoli Stati.

È possibile allora ricondurre alla ragionevolezza l’Islam integralista? Se da una parte è vero che  il mondo islamico deve superare i condizionamenti imposti dalla teocrazia, per cui la religione si manifesta come l’altra faccia della politica, ricusando la sfida imposta dalla Storia, dall’altra esso è la prima vittima sacrificale dei terroristi che pretendono di uccidere nel nome di Dio. Va ricordato che il messaggio degli incontri interreligiosi di Assisi, ideati da Giovanni Paolo II,  hanno sempre stigmatizzato l’inganno, affermando che chiunque si professi religioso deve per sua vocazione promuovere la pace. 

Dulcis in fundo, anche l’Occidente deve assumersi le proprie responsabilità. In questi anni, le grandi democrazie occidentali hanno fatto o poco o niente per aiutare la società civile araba ad uscire dal letargo e sostenere politicamente e finanziariamente l’intelligentia islamica moderata. Una sfida che, visti i tempi, non può essere disattesa.

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