Come cacciare Maduro?

L’iniziativa di forzare l’entrata di decine di tonnellate di aiuti umanitari non ha raggiunto i risultati sperati. Anche per la speculazione politica che si avverte nell’avversione verso il regime antidemocratico di Caracas

C’è una cosa che va subito detta senza “se” e senza “ma”: quello del presidente del Venezuela, Nicolás Mauro, è un regime antidemocratico che da tempo ha perso la bussola. Vaga in un mare di incompetenza e inefficienza che ha reso drammatica l’esistenza di gran parte della popolazione. Ha impedito il corretto esercizio del voto e della partecipazione democratica. Ed è molto probabile che si stia sgretolando sotto i colpi della propria incapacità di governare. Le diserzioni ora appaiono con sempre maggiore frequenza, anche tra i membri delle forze di sicurezza, alcune decine dei quali hanno approfittato delle manifestazioni organizzate alla frontiera con la Colombia per disertare. Appaiono tra coloro che disertano anche dei membri del corpo diplomatico e delle forze armate, che si sganciano così dal chavismo. È un regime dalle ore o dai giorni contati? Difficile dirlo.

Questo fine settimana si è tentato di dare la spallata definitiva e per realizzarla ci hanno messo mano non solo le forze dell’opposizione attorno all’autoproclamato presidente Juan Guaidó, ma anche il presidente della Colombia, Iván Duque, e del Cile, Sebastián Piñera, con la benedizione della Casa Bianca. L’idea era quella di ottenere l’ingresso di decine di tonnellate di aiuti umanitari che avrebbero potuto soccorrere circa 300 mila persone. In concomitanza, alcune decine di stelle internazionali del pop si erano date appuntamento per un megaconcerto che chiedeva la fine dell’oppressione in Venezuela.

Il rifiuto del governo di Maduro di accettare gli aiuti, la chiusura della frontiera con la Colombia e la rottura delle relazioni diplomatiche con Bogotá, hanno mostrato che se si fosse forzata la mano, ci sarebbero stati incidenti con gravi conseguenze. E questi non sono mancati. Oltre a quattro morti sul lato brasiliano della frontiera, si lamentano più di 260 feriti e contusi. Solo rari carichi, simbolici, hanno attraversato la frontiera. Sostanzialmente siamo di fronte a un nulla di fatto, nonostante gli annunci dei presidenti Duque e Piñera. E la Croce Rossa ha protestato per l’uso non autorizzato del suo emblema dai promotori dell’iniziativa.

E qui allora si coglie il lato politico della vicenda. Se la sinistra internazionale, nel migliore dei casi, si è appena svegliata nel denunciare il regime indifendibile di Caracas, spesso difeso con energia come se si trattasse di un concentrato di ideali, dal lato opposto pare che sia in atto un’operazione politica internazionale che sta cercando di speculare sulla spaccatura ideologica che ha creato la crisi. Qual è altrimenti la ragione della presenza di ben due capi di Stato nell’ultima iniziativa “umanitaria”, quando i loro Paesi non avevano mosso un ciglio di fronte alla tragedia di Haiti del 2010, immane come quella venezuelana, o nel caso della catastrofe occorsa lo scorso anno a Puerto Rico, devastata da un uragano che ha lasciato sconquassato l’infrastruttura locale? Due pesi e due misure, si direbbe.

Siamo ancora chiari: il principio di intervenire per fare pressione sui Paesi che violano l’ordine democratico interno è, credo, un segno di progresso sul piano politico internazionale. I “valori democratici” diventano dunque un bene comune e, per far parte del consesso dei popoli, è necessario rispettarli se non si vuole essere messi al margine della convivenza tra Paesi. Ma se accettiamo tale principio, allora non dobbiamo perdere di vista le situazioni generale e non dobbiamo agire ad intermittenza, secondo le convenienze: qui sì e lì no.

Farebbe allora parte di questo bene comune da difendere a livello internazionale, pur nei limiti di come è intesa la democrazia nelle diverse latitudini, anche il caso dell’Arabia Saudita dove i diritti umani non sono certamente rispettati, o quello di Israele che interviene nella questione palestinese in modo sempre più cinico, o ancora la Corea del Nord che ci si chiede se sia veramente disposta ad aprirsi… Se Maduro è un pericolo per la democrazia – e lo è –, lo erano anche i governi che avevano invaso l’Iraq nel 2003 senza uno straccio di giustificazione internazionale o i governi che avevano fabbricato nel 2011 una guerra ad hoc in Libia o più poco tardi in Siria.

Insomma, se la comunità internazionale non è in grado di applicare con un minimo di coerenza tali principi, allora sarebbe molto meglio affidarsi alle arti della diplomazia, convocare la Croce Rossa e lasciare i governi da parte visto che, dietro le buone intenzioni, si sente anche un po’ di puzza di bruciato.

 

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