Come ago in un pagliaio: alla ricerca del discorso democratico

Marco Luppi

Il Paese vive oggi una crisi di valori e di rappresentanza.

 

Da una parte abbiamo sotto gli occhi gli scandali che stanno chiudendo ingloriosamente la vicenda politica di alcune tra le maggiori regioni del Paese, quali Lazio e Lombardia. Dall’altra, aumenta il senso di smarrimento per il proliferare di associazioni e movimenti; pensiamo all’apparizione del Movimento arancione di De Magistris, riproposizione del fermento civico che è stato alla base della campagna elettorale in occasione dell’elezione dei sindaci a Milano e Napoli e che in questi giorni sta presentando l’ex magistrato Ingroia come candidato premier; ma anche ai Fratelli d’Italia di La Russa, Meloni e Crosetto, al Centro democratico di Bruno Tabacci e Massimo Donadi. Si tratta, in alcuni casi, del tentativo di riproporsi in una nuova veste da parte di politici che provengono da complicate e dolorose esperienze precedenti; altre sono invece pure operazioni elettoralistiche, per consentire alle coalizioni di superare la soglia di sbarramento che il Porcellum pone alla Camera o al Senato.

Sullo sfondo, il mancato rinnovo della legge elettorale priva i cittadini del diritto di contribuire in modo completo e trasparente alla selezione dei membri del Parlamento.

 

Il filo conduttore di un discorso democratico, spesso smarrito come un ago invisibile nel pagliaio di polemiche e contrapposizioni sterili, presenta tuttavia alcuni tentativi che vale la pena di rimarcare. Pur con tutti i limiti e le riserve che si possono riscontrare, le primarie per la selezione dei candidati portate avanti da Pd e Sel, come le “parlamentarie” di Grillo sul web, appaiono dei primi tentativi di coinvolgimento e partecipazione in senso orizzontale nella fase di selezione della classe politica. In una stagione in cui, anche in campagna elettorale, raramente si arriva ad un confronto significativo sui programmi, vi è stata la scelta di Monti di presentare la sua “Agenda”, che ha voluto caratterizzare “per un impegno comune”, definendola un primo contributo ad una riflessione aperta. In questo senso, potrebbe e dovrebbe impegnare un soggetto plurale e non le singole personalità, non le moderne corporazioni o i gruppi di interesse e di pressione, in una ricerca di buone pratiche e scelte vincolanti per il bene del Paese. Non è strano allora, ma logico, che la sintesi programmatica stia cercando di costruire un soggetto politico che la proponga al Paese e cerchi di metterla in atto: un’operazione ampiamente attesa e prevista tra le componenti moderate e centriste e figlia della situazione di arroccamento dentro la quale si muove l’intero orizzonte politico.

 

È arduo sostenere – come qualcuno ha tentato – che Benedetto XVI, nel fare gli auguri di Natale al popolo italiano, quando ha espresso la convinzione che esista una “gerarchia dei valori con cui attuare le scelte più importanti”, abbia fatto da apripista all’articolo apparso il 28 dicembre su “L’Osservatore Romano”[1], in cui l’opinionista Marco Bellizzi formula un chiaro compiacimento verso l’atteggiamento del Presidente del Consiglio uscente e la sua proposta per il Paese.

Coloro i quali si ribellano a quella che definiscono la ricerca di una nuova Democrazia Cristiana sulla quale far convergere il voto utile, conviene che studino e propongano programmi diversi e alternativi, o entrino nel merito della proposta montiana, magari per valutarne le incongruenze e proporre dei miglioramenti. L’economista Stefano Zamagni, ad esempio, intervistato da “L’Avvenire”[2], ha voluto avanzare alcuni rilievi all’Agenda Monti, sottolineando come la condivisibilità di numerosi passaggi non colmi del tutto la sensazione che lo stile tecnicistico e formale privi il documento di un’anima e presenti difetti, non esclusivamente terminologici, in diversi punti, quali l’assenza del riferimento al Terzo settore, la nuova proposta economica definita “sociale” e non “civile”, ecc.

 

Alcuni passaggi dell’Agenda Monti contengono proposte da approfondire.

In particolare:

a) anche se può risultare scontato il riferimento al reperimento di nuove risorse per istruzione, formazione professionale e ricerca, non lo è la puntualizzazione sulla necessaria riscoperta delle figure educative e sul ruolo e le motivazioni degli insegnanti;

b) l’“economia verde” come investimento sul futuro e prassi per il presente, con il lancio di un piano energetico nazionale che faccia dell’Italia un nodo fondamentale della rete mediterranea. Da esaminare e sostenere la convinzione che, oltre i referendum, vi sia bisogno di spazi di dibattito pubblico sulle scelte energetiche del Paese;

c) il ruolo della donna nella società e nel mercato economico, con necessari snellimenti burocratici ed incentivi fiscali per sostenerne il maggiore inserimento e l’effettiva parità;

d) la persona come primo capitale da proteggere, all’interno di una politica di welfare che porti verso una società aperta e libera da deficit di opportunità, capace di collegare lavoro e merito, cambio di mentalità e comportamenti dei singoli con profondi rinnovamenti nelle istituzioni e nei gangli vitali dello Stato.

 

Non mancano le fragilità, legate alla scarsezza di risorse e ai forti sacrifici chiesti alla classe media e ai ceti popolari; al mondo delle imprese, soprattutto medie e piccole, in fortissima crisi e bisognose di un’attenzione che si fa fatica a recepire; l’assenza significativa di un riferimento ai diritti civili e al tema dell’immigrazione; la relazione con l’Europa, ancora indistinta e troppo teorica, manifesta un deficit di governance e di un progetto vero di politica condivisa; lo stile serioso, che poco concede agli entusiasmi e allo spirito ottimista di quanti sono chiamati a cercare dentro ed attorno a sé la radice di una nuova comunità da costruire insieme: prova ne sia anche l’assenza di “parole-simbolo” (nessun riferimento a bene comune, libertà o uguaglianza, 3 riferimenti indiretti a democrazia), scarso o nessun utilizzo di parole aggreganti (3 riferimenti al concetto di solidarietà, nessun cenno ai concetti di fraternità, condivisione, reciprocità).

 

Se in giro c’è disillusione, sconforto e a volte disperazione, il tarlo che potrebbe fare ancora più male è la paura di perdere un ulteriore treno verso il cambiamento, la sensazione di far parte di un sistema realmente incapace di riformarsi. Ma la risposta è dentro la politica, quella che La Pira definiva un sigillo di garanzia su tutte le altre attività, che Giordani vedeva come carità in atto, ancella e non padrona dell’azione sociale, economica, ecc. La vera novità sarebbe un lavoro trasversale, ampio e comune dentro le necessità del Paese ed una campagna elettorale pacata, chiara nelle proposte e rispettosa delle posizioni altrui. Forse questo è chiedere troppo?

 



[1] M. Bellizzi, La salita in politica del senatore Monti, in “L’Osservatore Romano” del 28.12.2012.

[2] M. Calvi, L’Agenda lieviti così…, intervista a Stefano Zamagni in “L’Avvenire” del 28.12.2012.

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