Come affrontare seriamente il cambiamento climatico
Nell’ultimo secolo la temperatura media globale sulla superficie della Terra è aumentata di circa 1,2°C. Fa più caldo, ma non si tratta solo di sudare un po’ di più. Ciò che preoccupa sono gli impatti di questo riscaldamento sui territori, gli ecosistemi e l’uomo, con la sua salute e le sue attività produttive, prima fra tutte l’agricoltura, ma anche con gli effetti sull’instabilità internazionale, ad esempio con i conflitti e le migrazioni cui contribuiscono i cambiamenti climatici indotti da questo riscaldamento. Un po’ in tutto il mondo si iniziano a vedere impatti molto forti, e anche la nostra Italia non ne è esente.
Contrariamente a quanto avvenuto nel passato più remoto, questo rapido cambiamento recente è causato dalle attività umane basate sui combustibili fossili. L’aumento di anidride carbonica (CO2) ed altri gas in atmosfera aumenta l’effetto serra naturale, “intrappolando” sempre più calore nei bassi strati dell’atmosfera.
Oggi si calcola che le emissioni antropiche di CO2 in atmosfera siano dovute per il 75% circa alle combustioni fossili e per il 25% al cattivo uso che facciamo del suolo, soprattutto per deforestazione e agricoltura non sostenibile. In questa situazione, io dico sempre che l’aver scoperto che la “colpa” del riscaldamento recente è dell’uomo non sia una sciagura, ma una buona notizia, perché se questo cambiamento fosse stato naturale non avremmo potuto far altro che difenderci. Così, invece, possiamo agire sulle cause del cambiamento per evitare gli effetti indesiderati.
Ma come fare? Ebbene, si dice che all’uomo piacciano soprattutto soluzioni “additive” (lo si è scoperto in tanti studi sociologici e psicologici) e anche per il clima, in effetti, c’è qualcuno che pensa di contrastare l’innalzamento della temperatura globale addizionando polveri raffreddanti all’atmosfera, come quelle che spesso escono dai vulcani in eruzione. Si è visto infatti che, dopo le eruzioni più potenti, la temperatura globale cala un po’ perché queste polveri fanno da schermo alla luce solare, che giunge alla superficie del pianeta in misura minore e così consente a questa di raffreddarsi. Ma questa “soluzione” di geoingegneria non è praticabile né efficace, soprattutto perché porterebbe ad uno stravolgimento del cosiddetto “ciclo dell’acqua”, con interi sub-continenti che potrebbero divenire dei deserti e centinaia di milioni di persone che dovrebbero migrare forzatamente.
La soluzione, dunque, non è di aggiungere un’altra influenza umana al clima, ma di diminuire quelle che abbiamo acceso, almeno dai tempi della rivoluzione industriale: emissioni di gas serra e cattivo uso del suolo. Se proprio ci piace aggiungere qualcosa, aggiungiamo alberi, che sono assorbitori di CO2 e dunque possono aiutarci a sottrarla dall’atmosfera. E danno anche dei benefici collaterali: mitigano le temperature estreme e assorbono (insieme al terreno su cui si trovano) le precipitazioni più violente, riducendo così gli impatti delle ondate di calore e degli eventi estremi di pioggia.
Recentemente si è mostrato come piantare foreste periurbane, cioè ai margini delle città, porti a tutti i vantaggi appena menzionati. Ma si fa anche un gran parlare (da parte, ad esempio, del collega Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale) di piantare 1000 miliardi di alberi per fermare il riscaldamento globale. Ma è veramente questa la soluzione al problema climatico? Come dico sempre, noi scienziati abbiamo il viziaccio di fare i conti e questo permette di capire quanto pesi una determinata azione sugli effetti climatici finali.
Ebbene, in epoca preindustriale, cioè preriscaldamento globale, esistevano sulla Terra circa 5000 miliardi di alberi, mentre oggi ce ne sono rimasti più o meno 3000 miliardi. Piantarne 1000 miliardi significa dunque ripianare per la metà il mancato assorbimento (meno della metà di quel 25%, dato che lì viene conteggiato anche altro, oltre alla deforestazione). Un aiuto importante, certamente, ma non la soluzione del problema.
Senza contare che non basta piantare gli alberi, occorre anche curarli ed avere abbastanza acqua per farli crescere. E questo, per una quantità così grande, sembra molto difficile. Inoltre, oggi, in un regime di riscaldamento globale, questa strategia appare molto fragile, per esempio a causa dei possibili incendi.
Insomma, ovviamente avere più alberi è importante e bello, per tutto ciò che significa, anche in termini di rapporto con la natura, e invito chiunque a piantarli e curarli. Tuttavia, questo non deve distrarre l’attenzione da quella che è la strategia climatica fondamentale ed efficace: ridurre fortemente quel 75% di emissioni che viene dalle combustioni fossili, andando verso una produzione di energia da fonti rinnovabili (cui possiamo contribuire anche noi, come singoli o in termini di comunità energetiche sostenibili), verso un maggiore risparmio energetico, verso una diversa mobilità, ecc. Dobbiamo cominciare a ridurre e sottrarre, piuttosto che aggiungere, e abbiamo tutti i mezzi per farlo.
A livello globale, bisogna quindi pensare ad un ventaglio di azioni diverse, ma che pesino. E attenzione: quando un’azione non pesa e non è efficace, rischia di distrarre da quelle fondamentali e di essere greenwashing.