Come affrontare la mareggiata?

Come reagiscono nella crisi le aziende di Economia di Comunione? Quali le loro strategie, i valori, le logiche?
Lavoro in fabbrica

Siamo in recessione. I primi ad avvertirla sono gli imprenditori che vedono calare le vendite o devono ricorrere alla cassa integrazione.Piero Comper è titolare della Tecnodoor, che produce porte, portoni e serramenti a Isera, nel Trentino, e dà lavoro a 17 persone. I numeri, in controtendenza, hanno segnato una crescita nel 2011, «ma il colpo duro è stato un anno e mezzo fa – spiega –, quando non sapevamo come fare. Dovemmo rivedere tutto e mettere sette persone in cassa integrazione. Ma non eravamo in pace, non volevamo perdere quel personale che avevamo formato con dedizione. Un’associazione locale, con la partecipazione dei sindacati, ci ha aiutato perché non diminuissero le entrate dei cassintegrati che, nel giro di alcuni mesi, sono stati riassorbiti».

 

Per Comper i rapporti autentici sono un elemento chiave: «Come in una famiglia questa rete di rapporti ha effetti, l’armonia interna si riflette all’esterno. Spesso i clienti mi fanno notare che si sentono bene accolti quando chiamano, o restano colpiti dai nostri operai montatori quando vanno da loro per i lavori». L’essenza del progetto di EdC? «La persona, che viene sempre prima – risponde Comper –. Anche quando visito un cliente cerco di mettere da parte l’idea che vado a vendergli qualcosa, mi concentro sulla persona che ho davanti. Ma sono imprenditore, dunque poi viene anche la vendita e forse questo fa sì che appaiano commesse che a volte non abbiamo nemmeno cercato».

 

Siamo a Maggiona, Novara. La Webert produce rubinetti e sanitari per il bagno, un settore legato all’edilizia che è stato molto colpito dalla crisi 2008-2009, quando il calo è stato del 20-25 per cento. Emanuele Zanetta mi spiega che hanno chiuso lo scorso anno con una crescita del 2 per cento. «È un grande successo data la situazione del settore», chiarisce. Nell’azienda vi lavorano circa 80 persone. La crisi più forte l’hanno vissuta 10 anni fa, quando hanno dovuto rimettersi in discussione in toto, politica commerciale, conversione del prodotto: «La ricetta classica, ma poi applicarla è un’altra storia. Abbiamo commesso i nostri errori; oggi produciamo meno e con meno dipendenti. Credo che la questione di fondo, come antidoto per conservare i posti di lavoro, sia quella di sviluppare l’azienda, avere delle strategie, essere efficienti e fare meglio. A volte si pensa che siccome si appartiene all’economia civile allora non si licenzia; ma la vita economica suppone anche questi casi, purché lo si faccia nel pieno rispetto delle leggi e delle persone. Certo, le motivazioni e i valori che ci ispirano sono parte essenziale di questa logica, che ci aiuta a guardare oltre le difficoltà», conclude.

 

Ci spostiamo in Puglia. Parlo con Franco Caradonna, titolare dell’Unitrat, azienda meccanico-metallurgica con 30 lavoratori, e anche presidente dell’Ucid di Bari (Unione cattolica di imprenditori e dirigenti d’azienda). Caradonna cerca di ispirarsi anche lui all’EdC nella conduzione della sua azienda: «Qui al Sud il problema della crisi si accentua anche per la situazione di per sé difficile. Già far le cose bene è tutta una novità. Si vive spesso dell’espediente, dell’escamotage al limite o al di fuori della legge. Capirà che quando un malcostume del genere si generalizza, i problemi si acuiscono. Per questo all’Ucid cerchiamo di unire gli imprenditori, far sì che comunichino esperienze e problemi gli uni degli altri». E la crisi? «Per noi è iniziata con forza nel 2009. Ricorrere alla cassa integrazione non mi lasciava tranquillo, perché il lavoratore riceve al massimo 800 euro. Ho preferito i contratti di solidarietà. Certo, comportano più pratiche, ci sono vincoli, devi presentare i bilanci, sono meno flessibili, ma il lavoratore riceve l’85 per cento dello stipendio».

 

Ritorniamo al Nord. Domenico Racca è a capo di Area Progetti, che a Torino lavora nell’area della progettazione architettonica e strutturale. La struttura modulare, insieme ad altre società, permette di portare da 8 dipendenti fino a 25. Anche qui il colpo è stato molto duro e si prevedono ulteriori ripercussioni: «Uno dei problemi in questi casi – ci dice – è la corsa a ridurre il budget invece di puntare a migliorare la qualità della prestazione; quando un’azienda ragiona esclusivamente così, presto o tardi chiude. Chi riceve un bene o un servizio è sempre una persona e questo ha un’incidenza nei rapporti e, in definitiva, nell’attività».

 

Ugo Pettenuzzo, della Ridix Spa, agente a Brugliasco, nel torinese, di firme straniere di attrezzature meccaniche di alta qualità, riferisce che l’onda d’urto più dura è stata nel 2009, quando il fatturato è calato del 45 per cento: «Ci siamo tagliati gli stipendi di noi soci e dirigenti – ammette – per mantenere i 54 posti di lavoro e in altri momenti abbiamo ridotto i nostri utili aziendali. Insieme ai sindacati abbiamo puntato ai contratti di solidarietà piuttosto che alla cassa integrazione. Il primo valore in questi casi è la solidarietà, anche con i clienti: abbiamo dilazionato i pagamenti di chi non ce la faceva, il che significa fare praticamente da banca». Una fiducia ben riposta? «Sì, nell’80 per cento dei casi è stata ben ripagata e i clienti questo lo hanno colto».

Federico Berti

Investire in rapporti

 

Due domande a Luigino Bruni, docente di Economia presso la Bicocca di Milano e noto editorialista

 

Le aziende dell’EdC vivono in modo differente questa crisi?

«Credo che piuttosto condividano con tutti un momento che è di sofferenza per imprenditori e lavoratori. In questi momenti porta frutto quanto in precedenza si è investito in beni relazionali, che incidono molto nei rapporti con clienti, fornitori, lavoratori, ecc. Chi è allenato a gestire le piccole crisi quotidiane, è più preparato ad affrontare una grande crisi. Le banche che hanno basato la loro attività sugli algoritmi più che sulla fiducia, ora hanno meno strumenti per affrontare la situazione. Oggi siamo tutti più vulnerabili, imprenditori e lavoratori; il grande conflitto oggi è tra la finanza speculativa e chi lavora producendo beni e servizi».

 

Come passare dalla crisi alla ripresa?

«Certi aspetti legati alle liberalizzazioni, come l’ampliamento degli orari commerciali e il fare leva sul consumismo mi suscitano perplessità, perché quest’ultimo è una malattia e non una cura della crisi. Può riportare danni la gestione familiare di molte attività commerciali che non possono competere con le grandi catene a orario continuo. Credo poi che le grandi imprese e lo Stato non occuperanno più il posto che avevano prima. Come nel passato, tocca alla società civile attivarsi e creare nuovi posti di lavoro. È stato così alla fine dell’Ottocento quando il cooperativismo ha impresso una ripresa dopo la crisi generata dalla rivoluzione industriale. Sul piano dell’occupazione una ripresa dipenderà dalla capacità della società civile di non aspettarsi che altri facciano ciò che può e deve fare lei».

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