Come Abramo
Sempre la perdita di un figlio apre un vuoto incolmabile che solo la fede è in grado di illuminare. Il racconto di due padri.
Il dolore bussa spesso alla porta della vita:
sono dolori piccoli e grandi, fisici o spirituali, capitano in famiglia oppure sul lavoro… Per chi crede però è di luce la parabola del chicco di grano nella quale Gesù promette abbondanti frutti a coloro che si sforzano di morire a sé stessi per mettere in pratica i comandamenti di Dio.
sono dolori piccoli e grandi, fisici o spirituali, capitano in famiglia oppure sul lavoro… Per chi crede però è di luce la parabola del chicco di grano nella quale Gesù promette abbondanti frutti a coloro che si sforzano di morire a sé stessi per mettere in pratica i comandamenti di Dio.
Ricordo uno di questi momenti forti della storia della nostra famiglia. Eravamo sposati da cinque anni quando il nostro terzogenito di pochi mesi si ammalò gravemente. Una sera ci fu chiaro che non avrebbe superato la crisi e sarebbe morto durante la notte, per cui, schiantati dal dolore, mia moglie e io lo facemmo battezzare e cresimare in tutta fretta. Una volta andato via il sacerdote, inginocchiati davanti alla culla di nostro figlio, lo offrimmo al Signore, ricordandoci della richiesta fatta ad Abramo del figlio Isacco. Le lacrime scorrevano abbondanti, ma dopo aver detto il nostro sì a quel Dio che avevamo imparato a conoscere come amore, ci sembrò che il bambino ci ringraziasse del dono della vita e dei sacramenti appena ricevuti. Immaginandolo incamminato felice verso il Paradiso, questa gioia che era la sua, con nostra sorpresa, era diventata anche nostra; il dolore infatti non era più quello di prima: sperimentavamo tutto il sostegno della grazia che operava nei nostri cuori e ci faceva sentire discepoli di Gesù.
Passarono circa vent’anni e io, su richiesta di un vescovo, dedicai un periodo in un Paese dell’Africa per dare il mio contributo come medico presso una missione.
Un giorno Abel, un anziano abitante del posto, un cristiano, mi raccontò un episodio vissuto con uno dei suoi figli, Benedict, allorché gli chiese in maniera solenne la benedizione paterna: si preparava infatti a lasciare la famiglia per intraprendere una vita di consacrazione a Dio.
Un giorno Abel, un anziano abitante del posto, un cristiano, mi raccontò un episodio vissuto con uno dei suoi figli, Benedict, allorché gli chiese in maniera solenne la benedizione paterna: si preparava infatti a lasciare la famiglia per intraprendere una vita di consacrazione a Dio.
Quel papà mi confidò l’iniziale dolore provato al pensiero del distacco: fra l’altro, sarebbero mancate due robuste braccia in una famiglia di modestissime condizioni. Ma siccome non voleva ostacolare i disegni di Dio sul
figlio, con le lacrime agli occhi era corso nella sua capanna e, inginocchiatosi, aveva pregato così:
«Signore, tu che ad Abramo hai chiesto di offrirti il suo unico figlio Isacco, ora a papà Abel chiedi il sacrificio di Benedict. Sia fatta la tua volontà!».
figlio, con le lacrime agli occhi era corso nella sua capanna e, inginocchiatosi, aveva pregato così:
«Signore, tu che ad Abramo hai chiesto di offrirti il suo unico figlio Isacco, ora a papà Abel chiedi il sacrificio di Benedict. Sia fatta la tua volontà!».
A mia volta raccontai a quell’anziano che pure io, tanti anni prima, mentre il mio bambino era in fin di vita, avevo fatto con mia moglie la stessa preghiera e la stessa offerta. Commossi, ci ritrovammo stretti in un abbraccio, rievocando un momento inesprimibile in cui il Padre celeste ci aveva svelato qualcosa del suo disegno d’amore sulle nostre famiglie, che avrebbe in seguito fruttificato per noi e per i nostri fratelli. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore…». Quante volte avevo cercato di capire cosa volesse dire Gesù con queste parole! Ma lui stesso, facendocele viverle con la sua grazia, ce le aveva illuminate.
Ciro
Lettera a una Principessa
Ciao piccola Rita, mia Principessa. Nel giorno dei tuoi funerali, vincendo la commozione, ti dico in questa letterina che mi manchi tantissimo. Mi mancano il tuo profumo, i tuoi bacetti, ma soprattutto le notti passate accanto al tuo lettino, mano nella mano.
Ricordi? Quando ti prendevo la tua tra le mie eri sicura che nessuno avrebbe potuto farti alcun male, sicura che il tuo papà ti avrebbe difesa da ogni dolore. Purtroppo né io né la tua mamma abbiamo potuto far nulla, e neppure i medici – anche di altri Paesi – ai quali ci siamo rivolti per debellare la rarissima malattia che ti aveva colpita. Tu lo sai che abbiamo tentato l’impossibile, con i pochi mezzi a disposizione, malgrado l’aiuto di tanti.
Oggi ti scrivo e piango, soprattutto per ringraziarti dei tre anni bellissimi in cui mi hai fatto diventare un uomo migliore e a tutti quelli che ti hanno conosciuta hai dato il tempo di innamorarsi di te. Mi hai fatto provare tante gioie: ogni tuo respiro era il mio, il mio cuore batteva insieme al tuo. E tante sofferenze hai provato senza mai lamentarti: cercavi anzi di apparire felice, preoccupandoti per un mio graffio; anche se non avevi voglia di mangiare, ti sforzavi solo per procurarmi piacere. Ma l’esperienza più grande che devo a te è stata quella di riuscire ad “arrendermi” alla volontà di Dio. Non è stato facile, ci ho messo del tempo. Ma invece di chiudermi nel mio dolore, grazie a te ho scoperto un’altra dimensione della vita, più vera. Finché ieri notte, mentre pregavo a lungo davanti all’immagine della Madonna, tu mi hai dato la forza di dire a Dio: «Sia fatta la tua volontà».
Avrei voluto donarti chissà cosa nell’esistenza che ti si apriva davanti, ma ora so che la vita migliore per te era questa che ora vivi insieme agli angeli. Grazie, Principessa, sei la figlia che ho sempre desiderato, di cui mi sento orgoglioso; e spero di essere stato anch’io per te il papà che desideravi.
Antonio