Coltivare l’umanità con la giustizia
Se le regole sono distorte, se le architetture di un potere malato sembrano congelate, se gli stereotipi con cui si racconta la realtà – fra le gente e nelle istituzioni – sono duri a morire, allora piuttosto che arrendersi alla tentazione di desistere, serve agire. Come il Buon Samaritano del Vangelo, che, abituato a vivere nella prossimità con l’altro, si precipita a soccorrere l’uomo ferito. E più del Buon Samaritano del Vangelo, per non solo curare ma soprattutto “prevenire”, ovvero per agire sulle strutture inique che creano le vittime e i briganti. Perché di vittime non se ne producano più.
È questo il cuore dell’incontro centrale dell’edizione 2017 di LoppianoLab, il Laboratorio per l’Italia a Loppiano, in Valdarno, sul tema “Né vittime né briganti, cambiare le regole del gioco”, da poco concluso.
La realtà di un società mortificata da ferite, ingiustizie e contraddizioni laceranti viene in piano con la testimonianza di Vincenzo Conticello, ex imprenditore, testimone di giustizia a Palermo. Gestiva la sua impresa di ristorazione nel cuore della città vecchia, ereditata dalla sua famiglia dopo cinque generazioni, quando nel 2005 la criminalità organizzata lo scelse come vittima. Il suo modo di fare impresa, vissuto nella legalità e nel rispetto delle leggi e dei contratti di lavoro, risultava dissonante in un microcircuito di economia illegale. Certamente scomodo per i suoi “competitor” posizionati poche vie più in là, che lo “consegnarono” – le intercettazioni confermano – alla mafia, con la richiesta di “ammonirlo”. Cominciò così una luna serie di atti intimidatori, verso l’imprenditore, la sua impresa, persino i clienti. Come da copione saltarono in aria auto e furgoni, altre vetture furono danneggiate, l’attività dell’“Antica focacceria San Francesco” colpita al cuore. Ma nessuno denunciava e le forze dell’ordine non avevano mandato per intervenire. Conticello fu costretto a denunciare e in sede di processo a testimoniare di fronte ai suoi aguzzini. Quei “briganti” che da allora non hanno smesso di intimidire lui e la sua famiglia. Ma Vincenzo Conticello si sente vittima due volte. Delle Istituzioni perfino. Nonostante la vicinanza e l’incoraggiamento ricevuti dai procuratori Pietro Grasso e Giuseppe Pignatone, qualcosa – racconta – nel meccanismo non ha funzionato: le regole – inefficaci – lo hanno privato della giusta tutela, ha dovuto lasciare la sua terra e non vede mai i suoi figli, e un sistema di imposte paradossale ha messo in ginocchio la sua impresa.
Ma la vita di Conticello – fra i promotori del Movimento Addio Pizzo – molti semi ha già lasciato. Quel giorno in aula al processo, mentre denunciava i suoi aguzzini, molti giovani erano con lui: forse alcuni di quelli che ha incontrato negli anni raccontando la sua storia nelle scuole, affascinati dal profumo della legalità.
Sono 70, come lui, in Italia, i testimoni di giustizia. Che nell’ingiustizia continuano a vivere. Per loro papa Francesco ha chiesto maggiore tutela, incontrando il 19 settembre in Vaticano la Commissione nazionale antimafia, invocando un cambiamento culturale non più rimandabile: «Va trovata una via – ha esortato i presenti – che permetta ad una persona pulita, ma appartenente a famiglie o contesti di mafia, di uscirne senza subire vendette o ritorsioni».
In fondo, ha sottolineato nel corso del dibattito l’economista Luigino Bruni, la giustizia è solo un’altra faccia della carità: «Non esiste conflitto fra giustizia e carità, non vivono in tempi diversi per cui la carità viene prima o dopo la giustizia, ma la carità è un modo di essere giusti». In questa prospettiva – ha sintetizzato – «il Buon Samaritano è il Giusto Samaritano», e proprio questa figura evangelica può costituire un modello: di fronte alla vicenda di Vincenzo Conticello e a tante altre storie di ingiustizia «serve superare l’indignazione» per dare concretezza alla prospettiva del cambiamento. Con riferimento al testo originale, Bruni sottolinea che di fronte all’uomo aggredito dai briganti «al Samaritano si mossero le viscere. Non ebbe solo compassione ma provò misericordia, non ragionò ma passò dal sentimento all’azione. E lo fece perché – evidentemente – era abituato a farlo».
Così – continua – «l’incontro con la vittima è sempre un test sulla nostra umanità: se agiamo, allora vuole dire che lo abbiamo sempre fatto, che abbiamo vissuto di prossimità, e abbiamo coltivato l’umanità vera».
Ed è coltivando la nostra umanità che possiamo riconoscere nell’altro, chiunque esso sia, in qualunque condizione si trovi, anzitutto una “persona”. Vale in particolare oggi, quando si parla di migranti. Lo ha sottolineato Chiara Peri, del Centro Astalli per i rifugiati, intervenuta all’incontro. Qui, dove i temi della giustizia e della carità si declinano attraverso quelli dell’accoglienza e dell’integrazione, il cambiamento culturale chiama in causa non solo la società allargata ma anche la politica, con le sue leggi e i suoi linguaggi: «È in atto – ha osservato – una mercificazione culturale delle migrazioni» per cui «i migranti e i poveri sono colpevoli della loro povertà e condizione, e sono trattati come merci e talvolta come scarti», e «la migrazione è diventata un crimine, ma solo per alcuni». Ne deriva il paradosso per cui «gli italiani hanno più paura delle vittime che dei briganti», mentre «i politici, preoccupati di apparire, dicono di dover rispondere a istanze dell’opinione pubblica, mentre contribuiscono ad alimentare quelle istanze e quelle opinioni». Piuttosto – conclude – serve passare dall’Io al Noi, e dall’attenzione all’istante presente a quella per la storia e le sue cause, altrimenti si continua a voler «risolvere la crisi delle migrazioni parlando solo di Libia».
E se si indaga sulle cause delle migrazioni e delle diseguaglianze, ci si trova a confrontarsi anche con le storture dei sistemi economici e finanziari mondiali, centrati su profitto, speculazione ed estrazione incontrollata delle risorse. In questo ambito – ha osservato Nicoletta Dentico, del Cda di Banca Etica – colpevole della degenerazione è il processo che ha portato ad una «deformazione dell’economia e allo smantellamento progressivo delle regole», per cui «le dinamiche delle transazioni finanziare, che ormai avvengono al 90% per via digitale, sono diventate incontrollabili per gli stessi operatori della finanza». Anche qui il cambiamento delle regole passa per un cambiamento culturale: ciò che va messo in discussione – ha spiegato – è l’idea di profitto, perché «il profitto in sé non va demonizzato, quello che va demonizzato è un modo di fare profitto incontrollato».
In ogni ambito, a ben vedere, è l’attenzione all’uomo-persona e alle comunità intese come gruppi di persone a fare la differenza: «Il Buon Samaritano non si chiese chi era l’uomo ferito, ma si precipitò a soccorrerlo – ha chiosato Bruni – gli bastò che ad essere ferito fosse un uomo. Questo deve bastare anche a noi».