Per colpa di un pallone

Costruire legami nei piccoli gesti quotidiani. Andando oltre le divisioni e sfruttando anche un pallone. Accade a Benevento. Protagonista una mamma.  

Un pallone che rotola, fugge di mano, varca i muri, si perde nel giardino dei vicini può essere un’occasione per creare rapporti più fraterni e superare i piccoli screzi del vicinato. Ma cominciamo dall’inizio.

Quattro anni fa a distanza di 17 anni dall’ultimo dei nostri quattro figli, ora più che ventenni, abbiamo prima preso in affido e poi adottato un bimbo di 2 anni. Ora ne ha sei. Qualcuno penserà e, forse anche noi, a un’avventura folle data l’età. Ma abbiamo sentito, aiutati da tutta la famiglia, che la frase del Vangelo «qualunque cosa hai fatto al più piccolo lo hai fatto a me» ci interpellava profondamente. Con uno slancio di follia abbiamo accolto il piccolo in casa. Sono innumerevoli gli episodi da raccontare e il difficile rapporto con la mamma naturale. Una sfida sempre aperta che matura in slanci di comprensione e affetto di vera “sorellanza”.

Il nostro figlio adottato, Angelo, ci chiama costruire la pace con tutti, non solo in famiglia, ma anche attorno a noi.

Qualche giorno fa il pallone di Angelo è rotolato per la seconda volta nel terreno del nostro vicino di casa che è sempre gentile con noi. Meno, devo dire la verità, con il fratello Mario che vive accanto a lui per il motivo che gli sottrae, poco a poco, metri di terra alle altrui proprietà. Lo fa anche con un’altra nostra vicina Patrizia che ha anche lei una figlia diversamente abile. In questi mesi di restrizioni Patrizia per paura di contagiare la figlia di Covid la protegge togliendole libertà e aria da respirare.

Insomma, anche Patrizia è in conflitto con Mario e tutti, anche se imparentati come avviene nei piccoli centri, sono accumunati dall’incapacità di comunicare e dal terrore di essere ingannati l’uno dall’ altro. Per pochi centimetri di terra hanno scavato fossati e barriere di indifferenza e quasi di odio.

E noi che siamo nel mezzo e dobbiamo essere neutrali come la Svizzera. Ma la neutralità non mi basta perché dietro e dentro ognuno di loro ci sono dolori, delusioni e sogni infranti. C’è una umanità sola, che vive a casa come in un bunker. Ieri quel pallone è rotolato di nuovo, ho sentito che potevo fare qualcosa e sono rimasta con loro. Mi hanno aperto il cancello e sono entrata in una specie di paradiso naturale, con fiori, piante e una stupenda vegetazione. Era un incanto. Un’armonia frutto della loro cura, dell’attenzione di questa coppia per il loro terreno. Ho trascorso con loro quasi un un’oretta, mentre i bambini, Angelo e il suo amichetto Michele, giocavano. E loro scoprivano legami… «Ma tu» – rivolgendosi a Michele –  «sei il nipote  di …?» “Sai che conosco la tua famiglia?». E così via.

Ho capito che un pezzetto di pace poteva cominciare da lì, facendo rotolare ancora quel pallone. Nel giardino degli altri.

I più letti della settimana

Ti amo come sono stato amato

Carlo Maria Viganò scismatico?

La filosofia dello sguardo

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons