I colossi del web alla conquista dei bambini
Facebook, il re dei social network, detiene oltre a WhatsApp anche un’altra app di messaggistica istantanea, Messenger, che non è nient’altro che l’estensione in vera e propria app della chat che fin dai suoi esordi abbiamo potuto utilizzare nel social network per scambiare messaggi diretti e personali – quindi non pubblici – con gli altri contatti.
Secondo i dati rilasciati dal sito WeAreSocial.it, che ogni anno fornisce quelli relativi al mondo dei social media, Messenger è al quarto posto (dopo Youtube, Facebook e WhatsApp) nella classifica delle piattaforme social più attive nel 2017. Sarà per questo che Facebook ha deciso di puntare su questa app ampliando il proprio bacino di utenti introducendo Messenger Kids, l’omologa piattaforma – per ora in fase di test solo negli Stati Uniti – dedicata esclusivamente ai bambini tra i 6 e i 13 anni.
Questa fascia d’età rappresenta quei bambini che secondo le condizioni di utilizzo non possono iscriversi a Facebook, nonostante poi la stessa piattaforma non abbia nessuna procedura per controllare che questo divieto venga rispettato e quindi, semplicemente inserendo una data di nascita fasulla, questo divieto viene di fatto aggirato, spesso all’insaputa dei genitori.
Come funzionerà Messenger Kids
Facebook rassicura che Messenger Kids non ospiterà messaggi pubblicitari, non consentirà di portare a termini acquisti e non richiederà ai piccoli utilizzatori di essere iscritti al popolare social network, ma l’accesso avverrà tramite l’account dei genitori.
Per attivare Messenger Kids sarà sufficiente scaricare la app sul device dei figli, creare loro un profilo. Una volta impostato, i bambini potranno comunicare solo con una lista di contatti approvata dai genitori: nella homepage compariranno quelli già selezionati e verrà segnalato quelli che sono connessi in quel momento.
Attraverso questa piattaforma i bambini potranno chattare ed inviare video, e tra le funzioni disponibili ci saranno maschere, effetti sonori, emoji, oltre ad una libreria di gif (brevissimi video di qualche secondo) appropriate e appositamente scelte. Oltre a cornici, adesivi e strumenti di disegno che consentono di decorare i contenuti. Insomma, tutte quelle funzionalità introdotte da app concorrenti come Snapchat, Musically e Instagram che hanno conquistato gli adolescenti scappati in massa da Facebook.
«Dopo aver parlato con migliaia di genitori, associazioni come National PTA ed esperti negli Stati Uniti, abbiamo scoperto che c’è bisogno di un’app di messaggistica che permetta ai bambini di connettersi con le persone che amano, ma che al tempo stesso offra il livello di controllo che i genitori desiderano», hanno scritto da Facebook nel post con cui è stato annunciato Messenger Kids.
Gli algoritmi educano i bambini?
La nuova app di Facebook non è certo la prima dedicata in modo particolare ai bambini, e si va ad aggiungere a Youtube Kids, Kiddle (una sorta di Google per bambini) e Family Link create da Google per questa particolare fascia d’età.
Sulla carta sembra tutto innocuo e sicuro, ma perché tutta questa attenzione verso il mondo dei bambini? Quale utilità può avere una app di messaggistica per bambini e pre-adolescenti? Davvero un bambino ha bisogno di sentire i propri amichetti attraverso dei messaggi? Da una parte può sorgere il dubbio che il bisogno sia più dei genitori di avere uno strumento, un qualcosa che crei una sorta di area protetta e li renda tranquilli.
Ma, come dimostra il recente caso che ha visto coinvolto Youtube Kids, il “Youtube per bambini” accusato di non filtrare contenuti non adatti a loro, l’idea di delegare questa parte di educazione digitale a degli algoritmi non può essere la soluzione, sia per motivi tecnici ma soprattutto per motivi educativi. Dall’altra, il dubbio è che i colossi del Web stiano pian piano aprendo percorsi per ampliare il proprio pubblico verso i bambini e creare, precocemente, nuovi consumatori.
Il regolamento europeo
C’è poi ancora un’ultima partita. A partire dal 25 maggio 2018, infatti, dovrà venire applicato in tutti i paesi UE il “Regolamento europeo in merito alla protezione dei dati personali”, che stabilisce l’obbligo di portare da 13 a 16 anni il limite minimo per iscriversi a Facebook e gli altri social (oltre che per aprire una casella di posta elettronica).
C’è un ma. La UE, infatti, ha deciso di attribuire facoltà alle singole nazioni di conservare la soglia attuale dei 13 anni, se ritenuto opportuno. L’impressione è che molti Paesi Europei non alzeranno l’età come previsto dal Regolamento. Così, se l’UE gioca al rialzo, Facebook, è risaputo, ha nei suoi piani il desiderio di diminuire l’età minima di accesso al social network (ora regolamentata da una legge americana del 1998), e probabilmente questa ultima mossa ne è solo il primo passo.
Nel frattempo, per non sbagliare, Facebook mette da parte i dati e le informazioni, tracciando anche la vita dei bambini. E nonostante la patina di virtù con cui Facebook ha introdotto questa novità, restano, non risolte, molte domande: esiste una soglia di età giusta per fare affacciare i bambini al mondo digitale? E, ancora: la tecnologia fa male ai bambini o può avere effetti collaterali su attività sociali e salute? Infine, il dubbio più pressante: conosciamo gli effetti a lungo termine del tempo trascorso davanti agli schermi?
Un utile approfondimento sul tema lo si può trovare nella recente pubblicazione di Città Nuova “Nasci, cresci, posta” di Alberto Rossetti e Simone Cosimi, che affronta in modo specifico l’argomento dei bambini nei social network da diverse prospettive e dando diversi suggerimenti operativi.
Ciò che qui possiamo ricordare è che la soluzione migliore rimane sempre quella dello “sporcarsi le mani”, senza lasciare che all’educazione dei nostri bambini ci pensi un algoritmo.