Colombia, Venezuela e cinque milioni di migranti
Non esistono soluzioni semplici per problemi complessi. Lo sanno bene le autorità venezuelane e colombiane che stanno affrontando la questione del contrabbando tra i due Paesi che condividono più di duemila km di frontiera, dove operano, oltre ad organizzazioni criminali di narcotrafficanti, anche gruppi paramilitari e della guerriglia.
Per affrontare in modo coordinato la situazione, recentemente si è svolta nella città colombiana di Cartagena de las Indias, la riunione al vertice delle due ministro degli Esteri, María Ángela Holguín e la venezuelana Delcy Rodríguez.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la sparatoria che la scorsa settimana ha provocato, a San Antonio del Tachira, in territorio venezuelano quattro feriti, dei quali tre militari. A seguito di questo fatto il governo di Caracas ha determinato la chiusura di circa 100 km di frontiera a tempo indeterminato e lo stato di eccezione delle garanzie costituzionali in sei comuni della zona, in attesa di riprendere in mano la pubblica sicurezza. Nel frattempo, circa mille e 500 colombiani illegali sono stati rimpatriati con metodi a dir poco sbrigativi.
Da anni, migliaia di colombiani emigrano in Venezuela fuggendo dalla violenza presente nel proprio Paese, ma anche per svolgere attività illegale approfittando della differenza del cambio tra le due monete. Holguín ha riconosciuto il danno provocato al Venezuela dal contrabbando di benzina, dalla vendita in Colombia di 28mila tonnellate di alimenti e prodotti vari di consumo sottratti al mercato venezuelano, dove questi scarseggiano, insieme all’azione di pericolose bande armate. Ma la questione, ha portato alla luce anche l’afflusso di colombiani nel vicino Paese. Per il governo di Caracas più di 120 mila colombiani nell’ultimo anno si sono aggiunti ai 5,6 milioni che già da tempo sono entrati in Venezuela ottenendo ospitalità. Un numero importante se si tiene conto che il totale degli abitanti del Venezuela supera appena i 30 milioni. Caracas segnala che anche l’anno precedente, si è registrato un numero simile di ingressi, anche se il governo di Bogotá riduce alla decima parte questo numero.
Ciononostante, si ammette che non è certo piccolo lo sforzo necessario per ospitare un numero così elevato di colombiani che, nonostante che l’economia del Venezuela non navighi in buone acque, “Sono da noi benvenuti”, ha ricordato il presidente Nicolás Maduro. Le due donne ministro, hanno ribadito la disponibilità dei propri governi ad affrontare insieme la situazione, nella massima cooperazione possibile. Caracas annuncia la volontà di rifondare la zona di frontiera, mentre che quello colombiano, forse più realista, insiste nella necessità di trovare politiche comuni, come quella di stabilire un protocollo in caso di ingressi illegali sotto il coordinamento dei rispettivi “Difensori del Popolo” (“ombudsman”), o di fissare una riunione dei ministri dell’economia dei due Paesi per elaborare strategie di sviluppo della zona di frontiera.
La Holguín, sebbene convinta che la chiusura della frontiera “non aiuta a risolvere il problema”, ha indicato che verrà messa in moto una operazione sicurezza per neutralizzare i gruppi criminali che, spera, si trasformi in una iniziativa di entrambe le nazioni interessate.
Non è certo una situazione facile. Da una parte, non mancano speculazioni politiche di questi problemi in periodi elettorali, siamo prossime a quelle locali in Colombia e a quelle politiche in Venezuela, previste per dicembre; dall’altra si tratta di nodi che vengono al pettine in regioni lontani dai principali centri, dove è facile eludere la legge approfittando che la debolezza delle strutture statali, magari impegnate, come in Colombia, sul fronte di conflitti interni dove intervengono paramilitari, guerriglie e narcotrafficanti. Ma è indicativa la volontà di affrontare insieme problemi comuni.