Colombia: un Paese ingiusto perché disuguale
Due anni fa il periodico Semana rural, dedicato ai temi dell’agricoltura, segnalava l’elevatissimo livello di disuguaglianza in materia di possesso delle terre. Il 25% del totale dei proprietari terrieri possiede il 95% dei terreni e l’1% delle proprietà più estese raccoglie l’81% delle terre. Quando si applica il coefficiente di Gini (strumento che misura le disuguaglianze e che va da 0 – massima uguaglianza – a 1 – massima disuguaglianza) alla proprietà rurale colombiana, questo arriva fino a 0,89. L’Onu indica come allarmante un coefficiente di 0,4. Quando invece si misurano i redditi, l’indice Gini si riduce a 0,55, che è pur sempre elevatissimo, tra i più alti dell’America Latina e del mondo (la media nell’Ue è 0,308). Ma il problema è ancora più grave: quando la misurazione avviene dopo aver pagato le tasse, l’indice schizza a 0,6 ed oltre. Il che significa che il sistema impositivo aumenta le disuguaglianze invece di ridurle.
Bisogna tener conto di questi dati per comprendere cosa stia accadendo in Colombia dal 28 aprile in qua. Manifestazioni in gran parte pacifiche, con scioperi e proteste sociali. Ma anche scontri violenti provocati da gruppi isolati, scontri con la polizia ed abusi inconcepibili da parte delle forze dell’ordine. Il saldo è finora di 37 morti e almeno 800 feriti.
La protesta si è estesa unendo, come da anni non si vedeva, studenti, lavoratori, medici, piccoli imprenditori, contadini, nelle città e nelle piccole località rurali. La scintilla è stata un progetto di riforma tributaria promossa dal governo che avrebbe accentuato il peso fiscale sulle spalle di chi ha meno redditi, tra l’altro estendendo l’IVA (19%) a luce, acqua, gas, pompe funebri, apparati elettronici ed altri beni oggi non gravati. Senza modificare il modo con cui si divide la torta, nel mezzo di una crisi sanitaria ed economica che sta colpendo specialmente i settori più vulnerabili. Un progetto ingiusto, considerando che 21 milioni di persone (42%) oggi sono povere.
La risposta è stata la protesta nelle piazze e la formazione di un blocco di forze deciso ad opporsi a tale iniziativa, obbligando il presidente Duque a ritirare il progetto.
Ma la brutalità esercitata dalla polizia ha aperto un altro fronte: quello della contrapposizione ideologica, mai sopita durante tutti questi anni. Cinque anni di processo di pace non sono bastati per abbattere gli steccati ideologici, per cui le forze dell’ordine e i militari – chiamati a pattugliare le strade – continuano ad associare protesta sociale e guerriglia. La risposta smisurata si spiega anche con l’idea che ci si oppone ad un potere sovversivo fautore del caos. Tale visione viene trasmessa alle forze armate nella fase di formazione, ed è alimentata da figure come l’ex presidente Alvaro Uribe, che usa la polarizzazione per trasformare in nemici coloro che dissentono dalla sua idea di ordine sociale ed economico, ricorrendo anche alle idee di un oscuro teorico politico cileno dal passato neonazista (ignoto peraltro all’estrema destra del suo Paese), ma inspiegabilmente invitato almeno due volte nel recente passato a dissertare tra i militari colombiani.
Ma se prima la violenza delle forze dell’ordine era in qualche modo giustificata dalla presenza del conflitto, oggi il discorso fa meno presa sull’opinione pubblica. La pace con le Farc ha dimostrato che il conflitto armato non era l’unica fonte dei mali, soprattutto perché il male che lo ha provocato, l’impietosa disuguaglianza, non è mutato, anzi. E si abbatte poi sotto forma di violenza assassina su coloro che cercano di cambiare questo stato di cose. Ben 500 attivisti sociali e 200 ex guerriglieri smobilitati sono stati uccisi dalla firma della pace.
Messo alle corde, il governo di Duque ha invitato al dialogo politico per affrontare la sfida sociale e sanitaria. Vanno isolati i violenti, che in questi casi appaiono dai due lati dello steccato. Ma va anche cambiata la narrativa della destra, di cui fa parte il presidente, sulla realtà sociale del Paese. L’attuale livello di disuguaglianze è frutto di scelte umane, non è un fenomeno naturale.