Colombia e la “pace totale” di Gustavo Petro

Sette anni dopo gli accordi di pace con la guerriglia delle Farc, c’é ancora da fare per una pace completa in Colombia. Dopo alcuni passi sul cammino della riconciliazione, si avanza con lentezza nella rimozione delle cause di un conflitto che ancora miete vittime
Colombia Petro
ll presidente colombiano Gustavo Petro parla nel centesimo giorno della sua amministrazione presso l'ufficio presidenziale del Palazzo Narino a Bogotà, Colombia, martedì 15 novembre 2022. Dietro c'è un dipinto dell'eroe dell'indipendenza colombiana Simon Bolivar. (Foto AP/Ivan Valencia)

Dal 13 febbraio avanzano in Messico le trattative di pace tra il governo colombiano l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), la maggiore formazione guerrigliera ancora attiva, mentre si nutre la speranza di instaurare «nel giro di poche settimane» un dialogo anche con i due gruppi delle Farc che avevano rifiutato gli “Accordi di Pace” del 2016. Il presidente Gustavo Petro ha chiesto e ottenuto dall’Eln una tregua nelle estorsioni ed azioni violente per sostenere «l’ordine sociale alternativo» che la guerriglia mantiene nelle aree rurali dove esercita una sorta di governo di fatto in assenza dello stato.

Petro, primo esponente di sinistra a governare il Paese in 90 anni, è giunto alla presidenza lo scorso anno con la promessa di un’ambiziosa quanto necessaria «pace totale».

Dopo l’accordo del 2016, infatti, il vuoto creatosi con la smobilitazione della maggiore milizia del continente era stato colmato dai narcotrafficanti del Clan del Golfo, dalle tre restanti entità guerrigliere ancora attive e da formazioni paramilitari che combattono tra loro e contro le Forze dell’Ordine. Mafie, guerriglie e migliaia di mine antiuomo – a difesa di insediamenti e installazioni per la produzione di cocaina – continuano a produrre centinaia di morti ogni anno, anche se in misura nettamente inferiore rispetto a prima del 2016.

L’annuncio unilaterale di un armistizio da parte di Gustavo Petro non aveva raccolto il consenso dell’Eln, mentre la successiva richiesta di un “cessate il fuoco” verso la popolazione civile è stata accettata. Si studia ora un meccanismo di verifica del compimento di questo impegno. Nella giusta direzione si muove anche l’arrivo al tavolo di Città del Messico del ministro della Giustizia, Néstor Osuna, per presentare la riforma del Codice Penale e riferire sulle condizioni umanitarie da applicare ai guerriglieri ammalati in carcere.

Per quanto riguarda i gruppi ancora belligeranti, la loro posizione nel processo di pace non è la stessa. Dopo lo scioglimento delle Farc, riformulate come partito politico, il gruppo denominato “Stato Maggiore Centrale delle Farc” aveva immediatamente rigettato gli Accordi, mentre la formazione guidata dal celebre Iván Márquez aveva ripreso a combattere dopo tre anni di tregua, adducendo la mancanza di una reale volontà di pace da parte dell’allora presidente Iván Duque. Secondo alcuni giuristi, per questa seconda milizia basterebbe un semplice accordo di resa militare.

Intanto l’ex leader delle Farc e firmatario degli Accordi, Rodrigo Londoño (detto Timochenko), cerca di mediare. Londoño, attuale dirigente del partito Comunes, nato dalla smobilitazione delle Farc, chiede di andare oltre le azioni ostili del precedente governo Duque e dei guerriglieri dissidenti, a suo avviso contrari agli Accordi di Pace approvati per via referendaria dalla cittadinanza. Anche se ancora molto resta da fare per assicurare la pace ai colombiani, è innegabile che siano stati fatti notevoli passi avanti. La consegna del rapporto finale della Commissione della Verità ha segnato un progresso verso la riconciliazione, giacché ha permesso il riconoscimento di responsabilità da parte di guerriglieri, militari e paramilitari, con importantissime ammissioni di colpa e richieste di perdono, condizione indispensabile richiesta dai familiari delle vittime.

La nuova legislatura ha visto l’elezione al Parlamento di 16 rappresentanti delle vittime di guerra, che si aggiungono ai 10 ex membri di gruppi guerriglieri.

L’accordo tra il governo e la federazione di proprietari terrieri per la distribuzione di tre milioni di ettari di terra a contadini nullatenenti, ha rappresentato un inizio di concretizzazione della volontà di rimediare ad una delle principali cause di una guerra sanguinosa e pluridecennale.

L’esecutivo vuole inoltre cercare un accordo con il Clan del Golfo, una delle principali di mafie di narcotrafficanti del Paese. Con loro, e con le 17 bande urbane attive in città come Medellín, Quibdó e Buenaventura, dovrà trattare per abbassare il livello della violenza. La sfida è ardua, anche perché sarà molto difficile convincere l’opinione pubblica che delinquenti comuni meritino un negoziato.

Ma Petro pare determinato ad ottenere maggiore sicurezza in un Paese tra i più violenti del pianeta. Ancora troppi attivisti, leader sociali, contadini o sindacalisti muoiono in Colombia di morte violenta. A conferma della volontà politica del presidente, meno di una settimana fa il Procuratore Generale della Repubblica ha confermato di aver ricevuto una proposta – ora in fase di studio – per abrogare l’ordine di cattura verso Iván Márquez e altri capi delle Farc dissidenti. E, in un chiaro messaggio ai guerriglieri, il Procuratore ha dichiarato conclusa una volta per tutte «la storia in cui lo Stato tradisce e ammazza coloro a cui ha accordato la pace».

«La pace è di tutti – ha enfatizzato da parte sua il nuovo Alto Commissario per la Pace, Danilo Rueda –, qualsiasi gruppo rimanga escluso dalla sua costruzione renderà fragile una pace stabile, duratura e definitiva in Colombia».

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