Colombia al bivio

Questa domenica gli elettori dovranno scegliere il loro nuovo presidente. Due dei cinque candidati, l’attuale presidente Juan Manuel Santos e Oscar Iván Zuluaga, raccolgono ciascuno un 30 per cento delle intenzioni di voto. Parità tecnica, anche se le loro proposte sono diametralmente opposte
Santos e Zuluaga

Come poche volte nella storia recente della Colombia, la posta in gioco nelle elezioni presidenziali che si svolgeranno questa domenica è molto elevata. Secondo i sondaggi più recenti, siamo di fronte a un possibile testa a testa tra il presidente Juan Manuel Santos e il suo principale avversario Oscar Iván Zuluaga. Ciascuno raccoglie circa il 30 per cento delle intenzioni di voto degli elettori, lasciando a grande distanza gli altri tre candidati che, dunque, avrebbero poche chance di successo.

Ma perché siamo di fronte a una decisione altamente trascendentale degli elettori? Sebbene i temi in dibattito siano vari, la questione principale gira intorno alla visione del Paese formulata da Santos e da Zuluaga e questa viene messa in evidenza dalla loro posizione in merito al processo di pace con la guerriglia delle FARC.

Santos, che fu ministro della Difesa del suo predecessore, Alvaro Uribe, del quale è delfino Zuluaga, ha compreso che per il promettente futuro del Paese è necessario porre fine al conflitto armato con la guerriglia delle FARC, che dura praticamente da mezzo secolo. A tutti è chiaro che finché durerà la guerra interna, sarà ben difficile al Paese approfittare delle chance che oggi offre l’economia. Questa è in crescita a un ritmo tra il 4 e il 5 per cento all’anno e si proietta tra le prime quattro economie dell’America latina. Colombia e Perù sono oggi le due star della crescita regionale, con un potenziale ancora tutto da maturare, soprattutto pensando allo sviluppo di gran parte delle aree povere.

Santos, con una buona dose di realismo, è cosciente che la soluzione adottabile non sarà la più perfetta, si dovrà chiudere un occhio per ammettere le FARC alla vita politica dopo anni di violenza e ciò comporterà complessi equilibrismi dal punto di vista giuridico. Nessuna riparazione sarà mai sufficiente e lo Stato potrà farlo solo in modo limitato. Ma anche nel caso che si giunga, in tempi che nessuno può prevedere, a una vittoria militare, lo stesso nel Paese dovranno trovare il modo di convivere militari, guerriglieri di varie organizzazioni, paramilitari e cittadini che hanno sofferto vessazioni da ognuna delle parti, profughi che hanno dovuto lasciare le loro terre, contadini che hanno perso ogni avere, ma con in piú il dramma di ulteriore e inevitabile violenza. Un tessuto sociale dunque complesso, nel quale le forze vive dovranno lavorare molto per lenire ferite di una gravità inaudita.

I negoziati aperti dal governo di Santos con la guerriglia, e che si svolgono nell’isola di Cuba dal novembre 2012, sebbene abbiano prodotto accordi su una metà dei punti in agenda, avanzano lentamente e ciò spazientisce le opposizioni che considerano si stia cedendo troppo alle FARC, le quali, in vista di una inevitabile mobilitazione, cercano di assicurarsi un futuro politico. A ciò bisogna aggiungere forse un errore strategico di Santos che ha dedicato poca attenzione all’aspetto pedagogico di questo processo, in modo da essere compreso, condiviso e accompagnato dalla maggioranza della popolazione.

La posizione di Zuluaga, ispirata dall’ex presidente Alvaro Uribe, è invece diametralmente opposta. Se sarà eletto presidente, il candidato ha già annunciato che cancellerà questo processo con la chiara intenzione di obbligare sul campo militare la resa delle FARC. Uribe vanta il reddito politico di aver restituito ai colombiani il diritto a viaggiare per il Paese dopo anni di virtuale assedio imposto dalla guerriglia. E per un settore dell’elettorato, tra l’altro ideologicamente opposto alla guerriglia di sinistra, il valore della sicurezza è spesso più importante di come essa sia ottenuta. Santos conosce molto bene i costi della guerra, uno dei quali e rappresentato dallo scandalo delle “quote” di guerriglieri eliminati assegnate territorialmente. Per mantenerle i militari non esitavano ad assassinare civili innocenti.

La scelta dunque sarà tra la posizione intransigente che manterrà vivo lo scontro armato con la promessa di garantire la sicurezza, ed il realismo della pace possibile, che spesso non è esattamente la situazione perfetta alla quale si aspira. Anche se non ci sono dubbi che una pace negoziata sarà sempre meglio della più spettacolare vittoria militare. Soprattutto quando le vittime si contano a milioni.

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