Collescipoli, la nuova cittadella del jazz
Un piccolo borgo medievale cinto da antiche mura, un tranquillo paesino in provincia di Terni: le vie che caratterizzano Collescipoli sono silenziose, affascinanti, come solo i luoghi antichi sanno essere, pieni di storia, di vita. Improvvisamente il suono di una fisarmonica parte da dietro un angolo, un ragazzo con in spalla una chitarra cammina lungo le salite del piccolo paese, un saxofono è poggiato ad un muro. Nel giro di poche ore le vie si riempiono di voci, di suoni, delle musiche provenienti dagli strumenti dei quattrocentocinquanta musicisti jazz, che a titolo gratuito si sono riuniti per partecipare all’evento più rivoluzionario della musica jazz.
Per quattro giorni, dal 5 all’8 settembre, questo piccolo paese è diventato la culla del Jazzit Fest, il festival del jazz in Italia. Quattrocentoquattro concerti, mostre d’arte, workshop, conferenze, seminari e guide all’ascolto di anteprime discografiche, il tutto a “impatto zero”, senza cioè finanziamenti pubblici. L’idea, coraggiosa e innovativa, è nata dalla professionalità e dall’entusiasmo di Luciano Vanni, direttore artistico dell’evento.
Volontari, da tutte le parti di Italia, si sono dati appuntamento giovedì mattina e sono riusciti a trasformare questo progetto in qualcosa di concreto, un incontro tra musicisti e musiche, tra esperienze e vite differenti, tra appassionati e semplici spettatori. Gli abitanti si affacciano dalle finestre delle loro case e osservano incuriositi il via vai degli artisti, le porte delle case rimangono socchiuse, la musica entra a far parte della vita di queste persone, ormai compagna delle faccende quotidiane, qualcuno porta fuori delle sedie e si mette ad ascoltare.
«Questa iniziativa ha ridato vita al nostro paese», ci dicono Paolo e Ettore, seduti sugli scalini della loro casa. «È una grande emozione vedere tutti questi artisti girare per il paese – racconta invece Gian Carlo – tanti anni fa suonavo con la banda del paese e l’orchestra di Terni, ho ancora la mia tromba in casa», anche lui è stato un musicista. Da una piccola porta aperta esce il suono di una batteria, è Tommaso, un bambino di nove anni, che è entrato nel cuore del festival, ama la musica, ama suonare, è bravissimo e ha fatto della sua cantina un piccolo studio e palco.
Dai chiostri escono i profumi delle specialità umbre, gnocchetti alla collescipolana, pizzole dolci o salate, qualche bicchiere di vino o di birra: l’atmosfera che si respira è surreale, si chiacchiera, si scambiano opinioni, alcuni artisti suonano, altri ascoltano aspettando il proprio turno. La musica di questi jazzisti è una fusione di culture, ognuno con la propria esperienza dona qualcosa all’altro. Roberto Altamura, un grande del free jazz, commenta così questa esperienza: «quando ho cominciato, all’inizio degli anni ’70, non capivo quello che i jazzisti facevano, ma la loro musica mi affascinava moltissimo. Quello del jazz è un percorso che cambia e si rinnova continuamente, la nostra è musica libera attraverso la quale ognuno di noi esprime quello che è e che è stato».
Ed è proprio questo il bello di questo grande evento, generazioni differenti di musicisti si confrontano, i più giovani possono apprendere da chi ha una maggiore esperienza, i meno giovani, invece, accolgono a braccia aperte i cambiamenti portati dalle nuove generazioni, perché il bello della musica è proprio questo, ognuno con il suo stile racconta qualcosa di sé ed il pubblico è pronto ad ascoltare, in un dialogo silenzioso e continuo. Così diceva il sassofonista Ornette Coleman: «Il jazz è l’unica musica in cui la stessa nota può essere suonata notte dopo notte, ma ogni volta in modo diverso», e così, notte dopo notte, questi grandi artisti hanno riempito di vita le vie, di quella che ormai può essere considerata a tutti gli effetti la nuova cittadella del jazz.