Collaborazione o conflitto?
Fra i lasciti della campagna sulla procreazione artificiale, il rapporto fra stato e chiesa è uno dei più dibattuti nella stampa e, anche, dai nostri lettori. In alcuni interventi, i toni sembrano tornati ad essere quelli di uno scontro ottocentesco tra clericalismo e anticlericalismo. Il 24 giugno scorso, inoltre, papa Ratzinger si è recato dal presidente Ciampi, e chi vuole fare polemiche ha creduto di trovare, nel discorso di Benedetto XVI, nuovo materiale. In realtà, il papa ha esposto con chiarezza e semplicità la linea della chiesa, in accordo col Concilio Vaticano II, che il papa ha esplicitamene citato: la comunità politica e la chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane (Gaudium et spes, 76). Dopo avere ricordato il contributo della chiesa alla storia anche civile italiana, soprattutto attraverso le sue opere di carità, il papa ha ribadito la posizione cattolica sulla laicità dello stato: Legittima è dunque una sana laicità dello stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione. L’autonomia della sfera temporale non esclude un’intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visio-ne integrale dell’uomo e del suo eterno destino. Nella prospettiva cristiana, le realtà temporali, cioè tutto ciò che costruiamo nella storia – la società, la politica – si reggono su princìpi etici che ogni uomo può riconoscere sulla base della propria natura, cioè per il fatto stesso di essere uomo: non è necessaria la fede per distinguere il bene dal male, per organizzare una società civile, per costruire uno stato rivolto al bene comune. Ma il credente, che condivide tale autonomia delle realtà temporali, ritiene anche che i princìpi sui quali queste si stabiliscono abbiano il loro fondamento ultimo nella fede; questo fondamento ultimo non sminuisce il fondamento naturale, non toglie validità agli argomenti della ragione naturale, ma li rinforza. E dunque il credente, che opera facendo il bene nella società e nello stato, obbedisce, così facendo, sia alle leggi dello stato sia ai precetti della sua dottrina religiosa. Anzi, il credente può trovare, nella solidità della sua fede, uno stimolo ulteriore a bene operare sul piano civile. Il pastore Martin Luther King si ispirava alla Bibbia, ma operava per ottenere i diritti civili dei neri; Robert Schumann credeva, religiosamente, nella fraternità universale (la sua causa di beatificazione è in fase avanzata), ma per rendere definitiva la pace in Europa ha promosso la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. E si potrebbe continuare con gli esempi di personaggi pubblici che erano mossi contemporaneamente dalla fede e dalla loro natura umana e, per costruire qualche cosa di buono, hanno parlato il linguaggio della società e della politica, confrontandosi con gli altri ed esponendo ragioni, non dogmi. Tra questi personaggi pubblici ci sono anche le migliaia di cittadini che hanno lavorato a difesa della legge 40/2004, usando gli strumenti della democrazia. L’argomento del clericalismo è ripreso anche da due lettere che ci sono giunte in redazione, delle quali riporto alcuni stralci. Nella prima, Simona Artibani dichiara di non avere votato ai referendum perché stufa di queste pagliacciate; poi se n’è pentita, perché: il mio astensionismo permette ai clericali come voi di cooptarmi fra di loro, vi fa sentire più forti di quello che siete e pronti ad attaccare altre leggi della società civile, dal divorzio all’aborto. Fra l’altro sbagliate in pieno, perché se toccate il divorzio o l’aborto sarà guerra […] Riconosco comunque che vi ho dato io, vi abbiamo dato noi, i tanti di noi che non sono andati a votare per stanchezza, la ragione per fare la voce grossa; la signora Artibani ci scrive che la nostra rivista le è capitata tra le mani per caso. Nella seconda, Lucio Garofalo scrive che negli ultimi vent’anni, in Italia si è compiuta un’involuzione sociale e culturale gigantesca, in senso illiberale e reazionario […] il popolo italiano non ha avuto modo di esprimersi liberamente, avendo subito gravi limiti, ingerenze e censure che ne hanno condizionato e ostacolato il libero arbitrio, da parte soprattutto dello strapotere clericale che in Italia non è mai morto […] il regime clerico-fascista è risorto più prepotente e intollerante che mai!. Con la stessa sicurezza il signor Garofalo nella sua lettera chiama il papa fanatico nazista, figlio della gioventù hitleriana. Un regime clericofascista in Italia? Due convinzioni che si possono sostenere solo se si rifiuta di guardare la realtà. E la realtà è che Ratzinger è figlio di un gendarme che fu trasferito più volte per il suo rifiuto del nazismo; per i ragazzi tedeschi l’arruolamento nella gioventù hitleriana era obbligatorio e avere 12 anni in Germania, allo scoppio della guerra, significava essere vittime, non carnefici. Ancora, la realtà è che la campagna del Comitato Scienza & Vita è stata condotta da laici i quali, politicamente, si collocavano sia a destra che a sinistra; non vedo da quale regime clerico-fascista sarebbero stati appoggiati; ricordiamo che la grande stampa stava tutta dall’altra parte; la maggior parte delle trasmissioni televisive è risultata pesantemente orientata a favore dei referendari, come era evidente dalla scelta degli ospiti, dalle schede informative che venivano proposte, dalle esperienze che venivano trasmesse; perfino le tribune referendarie, che per legge distribuiscono equamente il tempo fra le diverse parti in causa, in base al regolamento stabilito per questa campagna dovevano dare metà del tempo ai fautori del sì, e suddividere l’altra metà tra i sostenitori del no e quelli del non voto; e poiché il risultato effettivo del no sarebbe stato quello di far ottenere il quorum, di fatto chi si opponeva ai referendum ha avuto il 25 per cento dello spazio televisivo contro il 75 per cento degli avversari. In realtà, in Italia esisteva una sorta di monopolio culturale, basato su una sorta di ideologia laicista (la religione è un fatto esclusivamente privato) e scientista (la scienza ha tutte le risposte e nessun limite), che pretendeva di essere la sola voce in campo. Il Comitato Scienza & Vita ha spezzato questo monopolio, ha fatto emergere e nutrito una cultura umanistica diversa; certamente, molti di quelli che non hanno votato sono semplicemente incerti o confusi; ma proprio questo è il punto: i referendari, pur avendo a disposizione una macchina organizzativa e ideologica straripante – questa sì da vero e proprio regime culturale – non sono riusciti a convincere la maggioranza della popolazione, perché la gente non si è fidata, perché le loro ragioni non erano ragionevoli. E questo brucia. Questa è la più importante notizia emersa dalla campagna referendaria: oggi c’è molta più laicità e molto meno clericalismo, proprio perché sono stati i laici ad impegnarsi. A leggere il Corriere della Sera e la Repubblica, sembra che tutto sia stato manovrato dal cardinale Ruini; il quale, invece, non ha fatto che il suo dovere, mettendovi tutto sé stesso. La grossa stampa, attualmente, vuol far passare la campagna antireferendaria del Comitato Scienza & Vita come una manovra clericale, per poter poi gridare contro il clericalismo. In tal modo, questi grossi giornali fanno esattamente il contrario di quello che richiederebbe il mestiere di giornalista: nascondono la notizia. Si pensi che il Corriere sella Sera ha telefonato a tutti i vescovi italiani, per chiedere loro un pronunciamento sui referendum: la quasi totalità di essi ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni, rimandando i giornalisti al laico Comitato Scienza & Vita; ma il Corriere della Sera non aveva alcuna intenzione di informare gli italiani dell’esistenza del Comitato (gli articoli che ne riportano il nome, da febbraio a giugno, sono pochissimi), proprio perché voleva far passare la falsa idea di uno scontro tra la gerarchia della chiesa e la società progressista. Per mesi, la grossa stampa ci ha raccontato di un’Italia di fantasia, profondamente diversa da quella reale che si è manifestata il giorno dei referendum, dimostrando che alcuni giornalisti, accecati dalle loro personali convinzioni, tutto fanno tranne che ciò che dovrebbero: raccontarci la realtà. Certo, il clericalismo c’è ancora. Ma non è stato il clericalismo a far vincere la campagna antireferendaria: è stato, invece, proprio il suo contrario. Sarebbe pericoloso e paradossale, ora, che qualcuno diffondesse la convinzione che la battaglia è stata vinta perché combattuta dalla gerarchia ecclesiale, o che qualcuno pensasse che la gerarchia ecclesiale debba operare, in futuro, scelte di politica pratica; queste convinzioni possono trovare qualche appoggio, perché c’è anche una piccola minoranza di cattolici che non si muove se davanti non c’è il prete; e c’è qualche prete che pensa di potersi sostituire alla coscienza dei fedeli, o alle loro scelte civili e politiche. Clericalismo e laicismo sono, in modo opposto, entrambi nemici della chiesa: si rinforzano a vicenda, cooperano nell’oscuramento delle coscienze. La campagna contro i referendum li ha sconfitti entrambi, perché davanti ad una gerarchia che ha fatto il suo dovere, c’è stato un laicato, cattolico e non cattolico, che ha svolto il proprio.