Cogliere i segni dei tempi

Gente
Ad inizio settembre, nella ricca serie di appuntamenti estivi di riflessione sui grandi temi del presente, s’è tenuta una tavola rotonda tra varie componenti del mondo ecclesiale, alla quale siamo stati invitati a partecipare. Il tema verteva sulla presenza ed il ruolo dei cattolici in Italia. Direte che l’argomento non brillava per originalità: concordiamo. Ma era intrigante il fatto che l’esercizio di approfondimento avvenisse tra persone reduci da un periodo di corroborante riposo, pertanto maggiormente inclini ad un approccio sereno alla lettura dei pur gravi fenomeni nazionali e globali in corso. Previsione quanto mai errata. L’abbronzato, elegante, numeroso e partecipe pubblico s’era appena accomodato e già stava sbiancando. Le analisi offerte – ricche di dati e di chiarificanti esempi – tratteggiavano affreschi tanto realistici, quanto inquietanti. Se ne ricavava che la persona e la società, i valori e le regole corrono, inesorabilmente, pericoli inediti e gravissimi. In questo scenario, quale poteva essere l’apporto dei cattolici? Nelle indicazioni degli esperti ricorrevano alcuni termini: difendersi, fare quadrato, motivare, resistere. E i movimenti ecclesiali e le nuove comunità erano visti, da qualcuno, come segni di speranza, perché baluardo dietro cui posizionarsi per fronteggiare la piena. Quello che viviamo è certamente un tempo di straordinari mutamenti, tanto che si parla talvolta di notte culturale dell’Occidente. Ma proprio in questa situazione i movimenti – e i carismi che li animano – hanno il compito di indicare il nuovo che sta emergendo. È il compito permanente che cerca di svolgere anche la nostra redazione. Possibile – abbiamo fatto presente in quella serata – che non stia nascendo una nuova stagione? Possibile che Dio non semini segnali anticipatori nelle pieghe delle nostre tribolate vicende? Starà dormendo, o piuttosto siamo noi incapaci di cogliere i segni dei tempi? Magari gli elementi negativi che abbondano nelle analisi vogliono suggerirci qualcosa. Certo è che siamo figli delle categorie culturali del Novecento e delle sue chiavi di lettura. Insomma, abbiamo ancora sul naso un paio d’occhiali del tempo andato che non aiutano a rapportarci con il presente in modo curioso, aperto e fiducioso. Non è un caso se definiamo la nostra epoca ricorrendo al prefisso post: post-ideologico, post-industriale, post-moderno, ecc. Non è un caso che tanti auspichino, come rifugio, una società meno evoluta e un mondo meno complesso. Camminiamo avanti con la testa rivolta all’indietro. Nessuno possiede già le nuove categorie culturali adatte alla bisogna. Sappiamo bene che emergono da una gestazione sempre laboriosa e dolorosa. La storia lo insegna. E c’è da diffidare di chi offre qualche surrogato a buon mercato. Ma se sino a poco fa il concepimento e il parto di nuove idee erano appannaggio delle élite culturali, adesso possono concorrervi (questo è un segno) anche le componenti sociali ed ecclesiali. Per uscirne insieme, bisogna cercare insieme. E senza la paura del futuro e il timore di sperare. Per cominciare sarà utile osservare con attenzione il presente in modo da cogliere quanto di positivo e di nuovo nel Paese merita di essere valorizzato, reso noto, messo in rete. Fatto diventare, insomma, costume diffuso. Anche questo è fare cultura. Ci incoraggia perciò il fatto che il card. Bagnasco, aprendo a fine settembre i lavori dell’assemblea dei vescovi italiani, abbia espresso riserve su una singolare pedagogia della catastrofe. Ci piace ancora di più che abbia invitato le libere intelligenze a guardare costantemente al merito delle questioni con autonomia e indipendenza e abbia chiesto a tutti gli analisti cattolici che il loro parlare sia sempre vero e, insieme, interprete di un realismo proporzionato ai fatti, e mai senza speranza. Un’indicazione, questa, ricordata nel recente convegno svoltosi ad Assisi da Retinopera – l’organismo che raggruppa movimenti e associazioni attorno alla dottrina sociale della Chiesa – e che ha informato il taglio delle analisi e lo stile delle riflessioni. Se un approccio culturale del genere si moltiplica e diventa prassi diffusa non tarderanno ad arrivare risultati e idee utili per individuare i segni dei tempi. Come Gandhi stesso consigliava: Meglio mettersi dalla parte delle soluzioni, che da quella dei problemi.
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