Co-governance e piano di ripresa in Italia
Co-governance e Pnrr. Alla fine di giugno, in occasione della conferenza stampa che si è tenuta a Roma e che ha visto la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen trasmettere a Mario Draghi l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Pnrr, sia Draghi che von der Leyen hanno sottolineato che quella giornata, pur sempre di festa, rappresentava “solo l’inizio” di un percorso carico di incognite. Secondo Draghi, «La sfida più importante è l’attuazione del Piano, per assicurarci che i fondi di cui dovremmo ricevere la prima tranche quest’estate, siano spesi tutti, ma soprattutto siano spesi bene».
Come ha ribadito la von der Leyen «la nostra approvazione oggi è una pietra di fondamento per l’erogazione di 191,5 miliardi di euro nei prossimi anni (…) questa non è la fine del nostro percorso, semmai l’inizio. È l’inizio di una attuazione che sarà dura, bisognerà lavorare in modo molto duro».
È così: la fase attuativa di un programma di politiche pubbliche rappresenta uno degli scogli più impegnativi.
Verrebbe da pensare che l’attuazione di un provvedimento di questa misura costituisca un processo quasi automatico, consegnato ad una macchina già progettata e rodata. E invece, combinare componenti tecniche – risorse, regole e strumenti di interventi – e componenti sociali – attori, culture organizzative, relazioni, chiede di superare ingenti difficoltà.
Per questo, centri di ricerca specializzati nel policy-making dedicano alla fase dell’attuazione le risorse maggiori, consapevoli della varietà di fattori, spesso non prevedibili, che entrano in gioco.
Luigi Bobbio, tra i più qualificati studiosi del settore, ricordava il caso della città di Oakland in California, oggetto di un ampio programma federale a metà degli anni ‘60 del Novecento, che prevedeva di combattere la disoccupazione di lungo periodo con un investimento di 23 milioni di dollari in opere infrastrutturali.
Dopo alcuni anni, solo 3 milioni di dollari erano stati effettivamente spesi e solo poche decine di occupati erano stati assunti!
Eppure, secondo Pressman e Wildavsky, esperti che hanno lavorato su questo tema per anni, non di questo ci si doveva stupire; l’attuazione di una decisione politica è talmente complessa che bisognerebbe «essere fortemente sorpresi quando qualcosa di buono realmente succede»”. Così hanno scritto, con un certo gusto per il paradosso.
Dove cercare la ragione principale di tale fallimento? Nel fatto che scenari come questi, dopo che è stato identificato il problema e dopo che sono state formulate alcune scelte, richiedono una concreta messa a punto: una lunga e complessa catena di azioni interconnesse, dove ogni passaggio aggiunge uno o più fattori di fragilità (oltre ai frequenti ritardi!). E la difficoltà maggiore è il coordinamento dei numerosi attori coinvolti, legittimamente guidati da interessi diversi.
Tornando alle grandi questioni del Paese: con quali strumenti e con quali logiche di governo affrontare temi sempre più interdipendenti?
La riforma del sistema salute, che deve proporre una diversa articolazione dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria per superare le differenze tra Regioni e territori, tra aree urbane e aree interne.
E poi la domanda di re-interpretare il diritto allo studio come bene comune, al pari del diritto alla salute, tanto più ora che la pandemia ha inciso pesantemente sul futuro di ragazzi e giovani, oltre che sulle loro famiglie.
E da dove ripartire, una volta introdotta la proroga selettiva del blocco dei licenziamenti, per affrontare con nuove risorse la lotta contro la disoccupazione, un tema che non sfida solo la crescita del Paese, ma la dignità delle persone? Come uscire dal tunnel là dove a soffrire di più per la disoccupazione, la sospensione dal lavoro e le riduzioni di reddito sono state le lavoratrici?
E come rispondere ai 500 primi cittadini di Recovery Sud, che proprio in questi giorni rivendicano che la ripartizione dei fondi del PNRR tenga conto maggiormente del deficit delle loro regioni?
Di fronte al volume di investimenti di cui si tratta, i pensieri vanno a sbattere contro queste domande. Ce la faremo? È qui che si misura la necessità di un coraggioso cambio di paradigma politico-amministrativo: dal government alla governance, concetto – onnipresente seppure alquanto scivoloso – che ha accresciuto i percorsi decisionali coinvolgendo i portatori di interesse (ad esempio le categorie professionali sanitarie, i giovani precari, le organizzazioni dei genitori, le cooperative sociali, l’associazionismo ambientale…) e non solo chi esercita una specifica competenza sulle base delle norme.
L’idea, introdotta nell’ambito delle istituzioni europee alla fine del secolo scorso, oggi chiede soprattutto che le prassi di governo siano meno centralizzate e verticali, più attente a connettere i diversi livelli istituzionali, in rete.
Non mancano i dilemmi, com’è evidente: come evitare la riproduzione di cerchie selezionate anche attorno ai tavoli di governance, ma soprattutto l’indebolimento del ruolo dell’ente pubblico, che deve garantire anzitutto chi non ha modo di esprimersi altrimenti.
Mano a mano che la riflessione si approfondisce, va detto che l’accento collaborativo e policentrico della governance acquista più forza, finché un filone recente di studi e di pratiche politiche è giunto a sottolineare, in modo ancora più netto, con la particella “co” la scelta di privilegiare la condivisione del potere decisionale tra istituzioni, business community e società civile.
Definire l’idea di co-governance non è certamente facile, ma è possibile riconoscere in questa traiettoria la pulsazione continua della dimensione della partecipazione che spinge in avanti la qualità democratica dei nostri sistemi. Arena, Zamagni ed altri studiosi non esitano a chiamare in causa anche il significato di “sussidiarietà circolare”.
Il Movimento politico per l’unità sta lavorando su questi temi dal 2018 in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia. Dopo il Congresso internazionale del gennaio 2019, all’inizio di ottobre 2021 si terrà un secondo evento dal Brasile (online): “A cogovernança como processo de construção de fraternidade na política, a partir das cidades”, a cui stanno lavorando da mesi decine di persone.
Senza retorica, ci poniamo una domanda: si avvantaggerà di questa qualità politica anche il governo delle politiche pubbliche del nostro Paese? Vedremo crescere strutture di implementazione adeguate alla sfida? Piattaforme di condivisione, tavoli di ascolto e consultazione, per rappresentare e coordinare le decisioni, reti per sostenerne l’attuazione, percorsi collaborativi per prendersi cura dei nuovi processi, strumenti che vanno preparati per tempo: dai decisori politici, ma anche dai cittadini, consapevoli che si apre una fase straordinariamente importante.
Qui il sito della Co-governance con indicazioni relative al prossimo incontro internazionale in programma ad ottobre 2021 in Brasile