Clima: possiamo insieme cambiare il futuro?

La strada per contenere l’innalzamento delle temperature del pianeta è chiara. Le promesse non bastano più. In pochi giorni l’accordo o il fallimento. I diversi interessi in campo. Ma quanto vale la salvezza del pianeta?
Cop21

Lo spettro che aleggia sulla Conferenza mondiale per la lotta al riscaldamento globale in corso a Parigi è il fallimento, come a Copenaghen nel 2009. Tanto fumo e niente arrosto? Questa volta forse no. Negli ultimi anni sono cambiati alcuni presupporti importanti.

 

Prima di tutto la crisi climatica ha cominciato a mordere sul serio: ne sono un esempio le devastazioni da incendi in California o l’ormai impossibile vita nelle metropoli cinesi sotto lo smog. Contrariamente al summit di Copenaghen di 6 anni fa, questo ha costretto Cina, Usa e altri 150 leader a sedersi al tavolo e prendere impegni in prima persona. Obama ha affermato: «Non solo riconosciamo il nostro ruolo nell’aver creato il problema, ma ci assumiamo la responsabilità di fare qualcosa. Possiamo cambiare il futuro qui e adesso». La Merkel ha promesso che la Germania, altro grande inquinatore, raddoppierà entro il 2020 i finanziamenti alle rinnovabili. Putin, nel sottolineare che la Russia ha prestato «attenzione alla crescita economica senza per questo trascurare l'ambiente», ha chiesto un accordo «efficace, equilibrato e globale».

 

In secondo luogo l’evoluzione della tecnologie energetiche ha scompigliato le carte: l’impetuoso affermarsi delle rinnovabili, insieme a nuove tecniche di estrazione, ha permesso a molti Paesi di ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili.

 

Inoltre, una maggiore concordanza di vedute da parte degli scienziati del clima, unita alla crescita della coscienza ecologica delle popolazioni, ha “obbligato” i politici a schierarsi contro il riscaldamento climatico.

 

L’enciclica Laudato sii di papa Francesco ha infine dato una spinta forse decisiva a questa presa di coscienza, legando strettamente dissesto ambientale e ingiustizia sociale. Il risultato è che probabilmente questo summit di Parigi sarà positivo. Restano però alcuni nodi da sciogliere nei prossimi giorni.

 

L’accordo finale sarà vincolante o l’impegno di ogni Paese a ridurre le proprie emissioni sarà solo volontario? Gli strumenti di controllo delle emissioni saranno efficaci e trasparenti? Il meccanismo di revisione periodica degli impegni funzionerà?

 

Ci sono altri due aspetti da considerare nel valutare i risultati del summit: qual è l’obiettivo di innalzamento massimo di temperatura media globale che vogliamo centrare? Due gradi come prevedono i Paesi ricchi? O solo 1,5 gradi come chiedono i 43 Paesi vulnerabili, come le piccole isole che temono di essere sommerse dall’innalzamento del livello degli oceani?

 

E ancora: i Paesi in via di sviluppo devono interrompere le importazioni di carbone mettendo a rischio la loro crescita? Il premier indiano Modi ha affermato che “gli stili di vita di pochi non devono cancellare le opportunità di tanti che sono ai primi passi della scala dello sviluppo. Vogliamo continuare a crescere consumando carbone in modo sicuro”. In alternativa, come compensazione finanziaria, i Paesi ricchi dovrebbero mettere sul tavolo cento miliardi di euro fino al 2020.

 

Quanto vale la salvezza del pianeta e quindi di tutti noi? Più o meno di cento miliardi di euro? La sfida è sul tavolo. Competizione o cooperazione? La bozza di documento finale è pronta. Chi la firmerà? E soprattutto: chi la metterà in pratica nei prossimi anni? Entro una settimana lo sapremo.

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