Clima guerre e migrazioni

79 conflitti nel mondo sono dovuti alla corsa per accaparrarsi le risorse ambientali che spariscono
ANSA/ US OXFAM

Un clima che cambia degrada i suoli, fa perdere raccolti, elimina acqua preziosa, con la conseguenza di attivare o amplificare conflitti e migrazioni. Un clima che cambia provoca competizioni per le risorse che spariscono: già ora contribuisce a 79 conflitti e opera come “acceleratore” delle migrazioni forzate. Isolarsi nella tranquillità di un Paese ricco e circondarsi di muri è la ricetta del disastro. Fra tanti populismi e opzioni di corto periodo, bisognerebbe invece introdurre elementi obiettivi, corroborati dalla scienza, in un dibattito – quello su migrazioni e giustizia – cruciale per il nostro futuro. Bisogna adottare l’ottica di un’ecologia integrale, ben descritta da papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’, se vogliamo capire e risolvere questi problemi.

I terreni dei Paesi poveri

L’Accordo di Parigi è stato un segnale importante. Tuttavia, gli impegni concreti non sono sufficienti a limitare il riscaldamento globale entro il limite dei 2°C, la soglia di “sicurezza” per evitare impatti difficilmente gestibili, soprattutto nei Paesi poveri. Per frenare i cambiamenti climatici dovremo non solo ridurre le emissioni per produrre l’energia, quelle industriali e da traffico. Si dovranno anche recuperare i terreni degradati, che si trovano quasi tutti nei Paesi in via di sviluppo, e farli diventare assorbitori di anidride carbonica. Quindi la soluzione del problema del riscaldamento globale passa anche per il miglioramento delle condizioni di vita di tanti Paesi poveri. Il riscaldamento, infatti, li destabilizza, per cui non sono più in grado di tutelare il loro ambiente e si destabilizzano ancora di più, diventando focolai di guerra e terrorismo! A parte le migrazioni, se le regioni più fragili non partecipano allo sforzo globale per salvare il clima e l’ambiente, è impossibile riuscirci e ci avviamo tutti verso scenari che non promettono nulla di buono.

Quale futuro?

Da un lato bisogna aiutare i Paesi poveri a recuperare un’agricoltura che fornisca reddito e benessere, freni i conflitti e le migrazioni, e aiuti la riduzione delle emissioni. Dall’altro, ognuno di noi deve innescare circuiti virtuosi di risparmio, con stili di vita più attenti. Dobbiamo smettere di vivere in emergenza, mettendo “toppe” locali (come i muri) per tentare di risolvere i problemi. Questo inasprisce solo le situazioni (vedi il nostro libro Effetto serra, effetto guerra,  Chiarelettere).  Viviamo in un sistema globale, per cui la soluzione dei nostri problemi passa attraverso la soluzione dei problemi che affliggono – in maniera più pesante – tanti altri abitanti del pianeta. Saremo razionali a sufficienza per evitare il tracollo? O rimarremo prigionieri di uno stile di vita che ci destabilizza collettivamente e ci fa male come individui?

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