Clima e finanza, le scelte aperte per l’Italia
Luigi Di Marco dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (AsVis) è stato interlocutore autorevole nell’incontro finale della settimana Città Nuova dedicata quest’anno alla grande sfida della conversione ecologica. Un appuntamento che si è svolto all’indomani delle elezioni politiche che hanno ridisegnato la composizione del parlamento italiano e dato vita al governo Meloni.
L’Alleanza è una realtà che raduna oltre 300 tra le più importanti istituzioni e reti della società civile, dal mondo imprenditoriale e sindacale, dal terzo settore al mondo delle associazioni ambientaliste.
Un soggetto, dunque, in grado di offrire una visione di Paese e delle scelte strutturali necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Onu per il 2030. Abbiamo risentito Di Marco, che è uno dei coordinatori di Asvis e autore del rapporto su “Sviluppo sostenibile e politiche europee”, per avere alcune impressioni sul nuovo scenario che ci attende sul campo dell’ambiente e della finanza.
Come ASviS avete già avuto un confronto aperto e pubblico con i politici sul tema ambientale assieme a Rossella Muroni di Green Italia e Nicola Procaccini, responsabile politiche per l’Ambiente per FdI. Cosa è emerso? Quali sono i punti condivisi e quelli conflittuali?
Non abbiamo avuto sostanzialmente molto tempo, molti aspetti andrebbero approfonditi e meglio giustificati. Non ho avvertito particolari conflittualità. É vero che gli argomenti citati anche brevemente da Procaccini hanno toccato profili che con ASviS non abbiamo mai ritenuto prioritari e anzi marginali al tema come le tecnologie per la cattura del carbonio note in sigla come CCS. Risparmio, efficienza energetica e rinnovabili, la transizione energetica passa al 100% da qui, e lo stoccaggio del carbonio lo si fa con le soluzioni basate sulla natura e con il ripristino degli ecosistemi, ottenendo tanti co-benifici per il ciclo dell’acqua, per il ciclo dei nutrienti, per la biodiversità, per la resilienza ai cambiamenti climatici.
Nell’incontro con Città Nuova ha messo in evidenza il limite di una visione che affida l’intero cambiamento alle scelte dei consumatori senza aver chiaro l’importanza degli interventi strutturali da operare nell’economia. Cosa vuol dire dal punto di vista della transizione energetica considerando la modestia dell’ultima Cop27?
Con l’Accordo di Parigi abbiamo dichiarato d’impegnarci a rendere i flussi finanziari coerenti con uno sviluppo a basse emissioni e resiliente al clima. É evidente che non basta attendersi che siano le scelte volontariste dei consumatori a cambiare sistema, se il sistema finanziario continua a premiare profitti disallineati agli impegni dell’accordo di Parigi. Nel 2015 l’allora governatore della banca d’Inghilterra Mark Carney, poco prima dell’accordo di Parigi, ha messo in evidenza come i rischi climatico-ambientali si riflettono sulla stabilità del sistema finanziario, teorizzando una “tragedia degli orizzonti” dell’attuale sistema finanziario.
Il fatto è che chi è incurante del clima e dell’ambiente, lo è anche della stabilità del sistema finanziario nel suo complesso, perché le operazioni finanziarie hanno rendimenti nel breve e anche brevissimo termine e sono guadagni scollegati dall’economia reale e dal lavoro. Alcuni passi avanti sono stati fatti e va riconosciuto, ora si parla di stress test climatici sui fondi detenuti dalle banche, ma se non si entra nelle regole che determinano il fenomeno della cosiddetta finanziarizzazione dell’economia e non si creano meccanismi correttivi che garantiscono che tutta la finanza sia a servizio di un’economia reale impegnata a perseguire gli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, la tutela e il ripristino degli ecosistemi e le condizioni di contesto sociale necessari a perseguirli (quali educazione di qualità e competenze, un reddito minimo adeguato) a rendere i flussi finanziari coerenti con l’Accordo di Parigi.
Cosa è mancato nella Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso in Egitto?
Alla COP 27 bisognava portare in discussione soluzioni per consentire ai Paesi in via di sviluppo indebitati di effettuare gl’investimenti necessari in particolare per all’adattamento ai cambiamenti climatici. Lo stesso Parlamento europeo nella risoluzione adottata il mese scorso sulla COP 27 evidenzia la necessità d’individuare fonti di finanziamento per il clima che non aumentino il debito dei Paesi in condizione di vulnerabilità. Bisogna passare però dal principio a una proposta politica concreta. L’IPCC a suo tempo indicava studi che ipotizzavano una nuova Bretton Wood come quella discussa dopo la seconda guerra mondiale, per istituire regole comuni internazionali di politica monetaria coerenti con l’Accordo di Parigi. Su questo punto siamo gravemente indietro, ed ovviamente la guerra non aiuta, e ciò in parte spiega anche la vacanza della Cina e dell’India. É urgente proporre soluzioni solidali con i bisogni dei Paesi in via di sviluppo, anche in un dialogo per ripristinare la pace.
Siamo ad un passo dal 2030, data individuata per realizzare gli obiettivi Onu. Non stiamo in una fase di ritardo incolmabile?
Il ritardo c’è. Non dobbiamo però pensarlo come incolmabile e accontentarci perciò di un livello d’ambizione più basso perché ci appare più “realistico”. Dobbiamo mettercela tutta comunque, perché meno facciamo oggi, più alti e insormontabili saranno le crisi ambientali, economiche e sociali che ci colpiranno domani. Con le istituzioni UE non abbiamo ancora liquidato come non fattibile l’obiettivo di mantenere l’innalzamento della temperatura media terrestre, possibilmente al 1.5°C.
Che valutazione si può dare dell’operato di Cingolani come ministro tecnico alla transizione ecologica?
La mia impressione su Cingolani, senza con ciò voler esprimere un giudizio a tutti gli effetti, è che come tante persone anche di scienza, non aveva l’esatta percezione della dimensione della sfida o del ruolo e della responsabilità che gli competeva o di come interpretare il suo ruolo. Per essere “realistico” ha fatto probabilmente meno di quello che avrebbe potuto e dovuto fare. Perchè il reale compito in particolare di quel ministero, e forse anche un po’ di tutti, è di riuscire a rendere possibile quello che oggi sembra impossibile.
Quali sono le tre scelte imprescindibili in campo ambientale che ogni governo dovrebbe operare?
Per prima cosa il dialogo con la società civile e il confronto sulle scelte politiche da attuare. Un dialogo, operativo, concreto e non puramente formale, avendo come guida obiettivi ambientali e climatici coerenti con le indicazioni della migliore scienza disponibile
In secondo luogo occorre definire un quadro di strumenti strategici agili, e che siano tra loro concepiti come vasi comunicanti, dotati degli strumenti operativi: piano nazionale integrato clima ed energia, strategia per la biodiversità e piano nazionale per il ripristino della natura, piano per l’adattamento, piano strategico per la PAC, piano per le competenze e l’occupazione, piano sociale per il clima ecc…
Infine necessita porsi nei consessi europei, internazionali (ONU, G7, G20) in un ruolo propositivo e costruttivo, chiedendo livelli d’ambizione più alti laddove la miglior scienza disponibile lo indica come opportuno o necessario, proponendo strumenti e soluzioni ai problemi, perseguendo l’obiettivo di non lasciare nessuno indietro.
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