Click day, una lotteria da cambiare

Fino al 3 febbraio si presentano le domande per la regolarizzazione degli stranieri in Italia. Critiche al decreto flussi. Intervista a Pino Gulia, responsabile del Servizio immigrazione del Patronato Acli
immigrati

31 gennaio, 2 e 3 febbraio: sono questi i tre “click day” previsti dal decreto flussi per regolarizzare i lavoratori stranieri presenti in Italia. Tre giorni di stress per immigrati, famiglie ed imprese, ma anche per gli operatori dei centri di assistenza fiscale, che devono effettuare materialmente gli invii delle domande. Tutta colpa delle procedure, che prevedono – per coloro che hanno i requisiti previsti – l’ammissione delle domande arrivate cronologicamente per prime.

 

Per qualcuno è una “lotteria” con cui si gioca sulla vita delle persone, per qualcun altro è un modo per privilegiare chi ha più mezzi, in generale è un sistema che non risponde alle esigenze delle famiglie e delle imprese. Un dato evidente a partire dai numeri. Nel primo click day, il 31 gennaio, a fronte di 52.080 posti disponibili per gli immigrati delle cosiddette “nazionalità privilegiate” (Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Filippine, Ghana, Marocco, Moldavia, Nigeria, Pakistan, Senegal, Somalia, Sri Lanka, Tunisia, India, Perù, Ucraina, Niger e Gambia), in sole quattro ore sono stati inoltrati quasi 300 mila moduli, 100 mila nei primi minuti dopo le 8, con una percentuale di sei lavoratori per ogni posto a disposizione.

 

Per gli altri click day (il 2 febbraio toccherà a colf e badanti degli altri Paesi, il 3 alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale di quelli per lavoro stagionale e tirocinio e dei permessi di studio) si prevede un numero inferiore di domande. Ma la situazione, assicura Pino Gulia, responsabile del Servizio immigrazione del Patronato Acli, non è più sostenibile. «Noi – spiega – abbiamo sempre criticato il sistema previsto dal decreto flussi, perché non è una modalità valida per rispondere alle esigenze dei richiedenti, nel nostro caso si tratta soprattutto di famiglie, che può favorire un mercato illecito sotterraneo».

 

Gulia, partiamo dai fatti. Com’è andato il primo click day?

«A parte qualche piccolo problema di invio, è andato relativamente bene. Tuttavia noi riteniamo che questa non sia la modalità giusta per regolare gli ingressi degli stranieri in Italia».

 

Quali sono i problemi?

«Le famiglie che presentano le richieste hanno bisogno da subito di un aiuto. Poiché le pratiche vanno istruite ed analizzate, e questo dura minimo 6, 8 mesi, molti si guardano attorno e spesso incappano in persone irregolari. Molti degli stranieri per i quali si presenta la domanda, quindi, sono già presenti sul territorio italiano, ma allora è una sanatoria nascosta? Probabilmente sì. Dovendola però fare secondo le norme del decreto flussi, cioè con il lavoratore all’estero, per essere in regola l’immigrato è costretto a ritornare nel proprio Paese, senza avere la sicurezza di poter tornare in Italia, o comunque potendolo fare solo dopo i mesi necessari per effettuare i viaggi ed ottenere i visti e i timbri necessari. Nel frattempo, le famiglie restano sole e magari assumono per necessità qualche altro irregolare».

 

Stesso problema anche per le imprese, giusto?

«In questo caso, molte aziende presentano le domande in funzione della stagione estiva, stagione turistica per eccellenza, che ha molto rilievo per l’Italia. In queste imprese il lavoro comincia in primavera e se il lavoratore arriva ad agosto o a settembre non ha senso. Si dovrebbero allargare le maglie della normativa per favorire gli ingressi regolari, legandoli alle necessità di imprese e famiglie. Altrimenti, gli stranieri arrivano ugualmente, magari con un permesso turistico, e poi restano nell’ombra, in condizioni di irregolarità, da cui possono emergere fragilità e situazioni di degrado. Così com’è strutturato, il decreto flussi non ha più senso. Ci hanno assicurato che questo sarà l’ultima volta, poi si cambierà, ma la politica sta cercando soluzioni alternative da sola. Sarebbe invece il caso che si confrontasse con chi effettivamente opera con gli immigrati».

 

Chi sono, in generale, coloro che presentano le domande di regolarizzazione?

«A noi si rivolgono soprattutto famiglie, di livello medio-basso, che hanno bisogno di un supporto per il menage familiare. C’è, ultimamente, anche una nuova tipologia di utente: famiglie straniere, che presentano domanda per far arrivare in Italia un familiare che è ancora all’estero».

 

Quindi, una forma di ricongiungimento familiare?

«Sì, ma non solo. È anche un tentativo di mantenere salda l’unità familiare. In questi contesti, le famiglie sono ancora solide: come le nostre degli anni Sessanta, Settanta. Trovandosi però di fronte il modello familiare assai vago che prevale oggi in Italia, si trovano in difficoltà e così, soprattutto quando entrambi i coniugi lavorano, chiedono aiuto ai parenti ancora lontani. Lo stesso avviene quando ci sono figli in situazioni difficili, con handicap o con problemi di inserimento a cui i servizi sociali non riescono a far fronte».

 

Quando si avranno i risultati ufficiali e quali sono i suoi auspici per il futuro?

«Noi speriamo di avere i risultati entro metà febbraio. Poi ci sarà la suddivisione delle quote in base alle città che hanno presentato più domande (le prime tre sono Milano, Roma, Brescia, ndr). A coloro che hanno presentato la domanda verso le 9 e credono di essere tagliati fuori, consiglio di non smettere di sperare, perché può ancora essere ripescato. Anche se le domande sono 300 mila, c’è sempre uno scarto del 50, 55 per cento: c’è chi non ha i requisiti e viene eliminato, chi ha preso i soldi per fare da intermediario per qualcun altro e viene scoperto, chi è stato pagato per fare la domanda, ma poi ci ripensa. I fattori sono tanti e, purtroppo, legati a fattori non positivi, che innescano tutto un mercato sotterraneo illecito. La mia speranza è che qualcosa cambi: adesso, siamo troppo indietro. Invece del click day avrebbero potuto darci 15 giorni per inoltrare le domande e poi avrebbero potuto fare un’estrazione a sorte in una seduta pubblica: tanto è una lotteria comunque. Le assicuro che il risultato sarebbe stato uguale, ma con molto meno stress per tutti…».

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