Claudio Abbado, la giovinezza in musica

Se n'è andato, dopo anni di malattia, un grande della storia musicale del secolo. Ne ricordiamo il gesto chiaro ed elegante, la gioia palpabile nel fare musica, ma anche l'impegno a favore dei giovani, che lo ha portato da Bologna a Fiesole fino in Venezuela
Claudio Abbado

Se n'è andato a 80 anni a Bologna, ieri, e serenamente, da gran signore com’era, senza disturbare nessuno. Schivo, nemico delle interviste, antidivo, riservato. Ma precisissimo sul podio, esigente con cantanti e musicisti e insieme simpatico, cordiale, scherzoso. «Un gran signore», lo ricorda la giornalista Anna Dalponte, che ha collaborato spesso con lui, alla Scala e ultimamente al Festival Pergolesi di Jesi. «Era malato, negli ultimi anni, ma l’amore per la cultura non era diminuito. Dopo un concerto, ha voluto che lo accompagnassi a salire le scale del Museo Civico per ammirare le opere di Lorenzo Lotto».

Abbado era malato da anni, lo sapeva e lo diceva. Era diventato esile, ma sul podio dei suoi giovani della Mahler Orchestra o dell’Orchestra Mozart fondata a Bologna si trasformava. Un gesto chiaro ed elegante, una gioia palpabile nel far musica insieme lo riempiva di luce e faceva sì che la musica che suscitava  fosse qualcosa di straordinaria limpidezza. Sia quando dirigeva l’amato repertorio tardoromantico – Brahms, Bruckner, Mahler, Ciaikovski, Richard Strauss, sia nei musicisti "difficili" del Novecento – Schoenberg, Berg, Strawinsky, Stockhausen, Nono – e sia quando affrontava Mozart e Pergolesi o estraeva nuove folgoranti letture di Verdi (Macbeth, Simon Boccanegra, Don Carlo) o Rossini (Barbiere, Cenerentola, Viaggio a Reims).

Una carriera invidiabile, dagli anni Sessanta, aiutata da una famiglia di musicisti. La Scala, dal '68 all'86, i Wiener a Vienna, i Berliner a Berlino e poi il Festival di Lucerna. E poi i viaggi in Venezuela a sostegno dei ragazzi musicisti per toglierli dalla strada e aprire  la carriera a giovani direttori come Diego Matheuz. L’amore di Abbado per i giovani è stato costante sino alla fine, dato che ha destinato lo stipendio di senatore alla Scuola musicale di Fiesole.

Se n’è andato un grande della storia musicale del secolo, come ha detto Riccardo Muti. Un uomo di cultura mitteleuropea, che ha spesso provocato l’inerzia politica nostrana nel campo culturale e che amava teneramente la natura, gli alberi. «Forse il mio vero mestiere è fare il giardiniere», aveva detto. Certo, ha coltivato in modo eccelso il giardino della musica. Questo l’ha mantenuto giovane fino agli 80 anni.

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