Civiltà perduta
Un kolossal d’autore per chi cerca il buon cinema anche a luglio. Un film in costume, di viaggio, classicamente grandioso nella messa in scena. Una pellicola esotica, che naviga indietro nel tempo sul tema della scoperta, sul bisogno umano di meravigliarsi e di tuffarsi nell’ignoto, con tutti i pericoli che questo comporta. Ma anche un’opera intrisa di riflessioni sul tema della rivalsa, della rivincita, sul confine sottile tra sogno liberatorio e lacerante ossessione. Nonché la storia di una società europea all’alba del ’900 – quella inglese in particolare – che tutto voleva conoscere e misurare, e che già alimentava nelle persone un desiderio misto di affermazione e di fuga. Civiltà perduta, diretto dallo statunitense James Gray a partire dal romanzo Z – La città perduta di David Grann (e già presentato all’ultimo Festival di Berlino), riprende la vicenda realmente accaduta di Percy Fawcett, un ufficiale inglese spedito a fare il cartografo nella giungla amazzonica per conto della Società Geografica di Sua Maestà. Quello che era il dovere iniziale di un militare – una missione non esaltante e di per sé pericolosa – si trasformò nella bruciante passione per l’esplorazione di luoghi selvaggi e incantevoli, che secondo gli studi del capitano avrebbero dovuto nascondere le vestigia di città e popolazioni tanto nascoste quanto avanzate. Fomentato anche da una crescente sete di ricchezza, Fawcett tornò ripetutamente in patria per mostrare al suo vecchio mondo la propria smaniosa certezza, e per spiegare a sua moglie, donna intelligente e più razionale del marito, le ragioni della sua missione. Ricorda grandi maestri della letteratura e del cinema, questo film girato interamente in pellicola: da Joseph Conrad a Werner Herzog, passando per Michael Cimino e per il David Lean di Lawrence d’Arabia. Ma di fatto, nonostante i paesaggi sublimi catturati da una fotografia mozzafiato, il regista vuole indagare il mondo misterioso, complesso e abbagliante tutto racchiuso nella testa di un uomo.