Città nuova aveva vent’anni
Trent’anni fa, nel secondo decennale di Città nuova, pubblicammo questa testimonianza di una nostra lettrice. Oggi, questa fedele amica è ancora una validissima sostenitrice della rivista, come attesta il rapporto che mantiene con 45 persone alle quali ha fatto conoscere Città nuova. Ne riferiamo nella corrispondenza a pag. 8. Sul numero 1 di gennaio ho letto l’editoriale Città nuova compie vent’ anni. Leggere la storia del giornale è stato un po’ come rivedere il tempo della mia vita. Da quanti anni leggo Città nuova? Ho fatto i conti: da diciotto anni. Da quando, una sera, una mia collega di lavoro mi fece uno dei doni più grandi della mia vita: mi fece conoscere un Amico che non ho più abbandonato. Era una collega giovane, sorridente, disposta in ogni momento ad aiutarmi nelle mille difficoltà di tutti i giorni. Mi ascoltava a lungo come se i miei problemi fossero i suoi. Le dicevo mille volte le mie ansie, il mio tormento di una vita che aveva perso ogni sapore, la mia inconsapevole dolorosa ricerca di qualcosa, o meglio, di Qualcuno che desse ancora significato e calore al vivere di ogni giorno. E quella sera mi trovai tra le mani un piccolo giornale: poche pagine, nessun servizio fotografico, carta da pochi soldi. E lì, su una di quelle pagine che a prima vista sembravano scolorite, una Parola del Vangelo: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi… e un breve commento firmato con tre stelle. Venite a me, voi tutti…: ero così oppressa dai ricordi del passato e così affaticata dai pesi inesistenti del futuro! Quel commento alle parole di Gesù sembrava scritto per me, pensato per me da qualcuno che conosceva profondamente il mio patire. Quelle parole, in quella notte, scioglievano in me un pesante fardello che trascinavo ormai da tempo e le mie lacrime si trasformarono in preghiera: Voglio tornare da te…. Sono ritornata ed ho sperimentato le altre parole di Gesù: Il mio giogo è soave e leggero. Abitavo allora in una casa isolata di un piccolo paese di montagna. Intorno prati e boschi. La mamma e il papa già anziani. La mamma ammalata di cuore. Tanta solitudine e… tanta paura della solitudine. Di notte – ricordo particolarmente le notti – un grande silenzio che mi dava sgomento e tremore. Ma lassù, ogni quindici giorni, arrivava il mio piccolo giornale e ogni volta mi portava la Parola che aspettavo, quella che mi dava la forza e la speranza. Ricordo in particolare: Gettate ogni sollecitudine in me. Il commento diceva: Ogni, dunque anche la tua. Dunque anche la mia, di quel giorno, di quel momento. E mi sentivo liberata, potevo addormentarmi la sera, potevo svegliarmi e aprire le finestre e godere il sole e i prati, e l’aria pura. C’era con me Qualcuno a cui dare le mie sollecitudini. Non ero sola. Sono passati tanti anni, non sembra vero! Dev’essere quest’attimo presente che cerchi di vivere che non ti lascia il tempo di accorgerti che stai invecchiando! La mamma è andata in Paradiso ormai da dieci anni. Papà sta per compierne… novanta! Arrivo da scuola. Trovo accanto alla porta Città nuova: ogni volta, dentro di me, la sensazione gioiosa dell’incontro con un amico carissimo. La stanchezza si attenua, si corregge un atteggiamento non giusto dell’anima, prima ancora di aprire il giornale; basta vederlo per ricordarmi dell’unica cosa che vale anche in quel giorno (l’Amore), per sentirsi uno con tanti fratelli sparsi nel mondo e con… i fratelli lassù! Spartaco Lucarini lo conoscevo profondamente, ma soprattutto attraverso i suoi scritti. Credo di aver letto tutti i i suoi articoli. Una profonda gratitudine per avermi aiutata, ogni volta, ad aprirmi su tutta l’umanità, pur da questo così piccolo angolo di mondo dove vivo. E la sua ultima parola per me, qui sulla terra, mi è parsa quella che accompagnava l’articolo su di lui: Coraggio. E non solo per me, ma per la collega che viene a trovarmi e mi confida la sua disperata solitudine; per la mamma che non trova più la forza di portare avanti la sua numerosa famiglia, per il papà oggi spesso disorientato ma che cerca con sofferenza il rapporto giusto con il figlio; per il sacerdote che sente tremare la sua vocazione perché non vede intorno a sé la comunità cristiana, per il giovane che mi parla della sua lotta per la i giustizia ma spesso ne dimentica la sorgente; per chi sembra stia perdendo, nel frastuono di questo momento, i valori profondi della vita e si lascia attrarre da mille sollecitazioni esterne e non trova più in sé stesso la pace. Così vorrei che il giornale arrivasse a tutti, a tutti: il mio piccolo, grande giornale della speranza. Per questo a casa mia i miei amici mi dicono spesso che… sono un po’ fissata con Città nuova. A. Z. – Savona