Ciò che mi ha dato il mondo

Il percorso di vita di Nuccio Santoro, romano, tra l’Europa e l’America Latina.
Nuccio Santoro

Siamo a Roma, dove nel 1959 Nuccio Santoro sta frequentando Filosofia alla Sapienza. Tra i suoi amici studenti c’è anche l’attuale presidente del movimento Maria Voce, la quale segue i corsi di Legge. Pure a lei il giovane Nuccio cerca di comunicare la “scoperta” che gli sta cambiando la vita da quando, partecipando agli incontri della nascente comunità dei Focolari (all’epoca si tengono presso la chiesa di Sant’Andrea della Valle), è stato preso da entusiasmo per il nuovo ideale evangelico dell’unità.
Nuccio è nato nella Capitale nel febbraio del 1937 da una famiglia di lavoratori. Di carattere timido, afferma di essersi sempre sentito a proprio agio rifacendosi alla “regola”, appresa da Chiara Lubich, che invita a mettere in pratica prima quanto appreso e solo dopo a parlarne. Infatti, Maria Voce, che in varie occasioni gli ha posto domande sul suo gruppo senza grandi risultati, un giorno quasi lo “costringe” a dargliene spiegazione. Lui la ricorda come una giovane socievole, intelligente e allegra.
Finiti gli studi, Nuccio segue la strada che ha compreso essere la sua, la consacrazione a Dio nel focolare: lo troviamo in Sardegna, poi a Roma, poi ancora a Tolosa, sempre per dar vita e alimentare le comunità del movimento. Dopo di che inizia la lunga tappa in Sud America, prima in Uruguay e poi in Argentina, dove è tra gli iniziatori della cittadella di O’Higgins nel 1968. Durante questi anni centinaia di giovani vi trascorrono periodi variabili da alcuni mesi fino a due anni, lavorando, studiando, praticando sport, componendo canzoni… ma dando prima di tutto testimonianza di una donazione sincera ai prossimi per diventare costruttori di una società migliore.
Nuccio viaggia nei modi più disparati in vari Paesi del Sud America. Ne ama le genti, le culture, diventa un appassionato lettore di grandi scrittori latinoamericani («Cortàzar, Sabato, Onetti, Garcìa Màrquez… mi hanno dato un piacere intellettuale e mi hanno permesso di penetrare in quelle terre»). Dal 2006 risiede a La Avana.
 
«Fin da ragazzo – racconta – pensavo alla vocazione sacerdotale, ma volevo trovare nuovi modi di arrivare soprattutto ai giovani. L’incontro con i Focolari, all’inizio, non mi causò nessuna impressione particolare: guardavo tutto dal di fuori e mi pareva di sapere già di cosa si parlasse».
E come mai ha scelto la facoltà di Filosofia? «In realtà – chiarisce – io sentivo attrazione per la matematica, per le scienze; scelsi Filosofia in quanto propedeutica». Ancora molto giovane, Nuccio si ammala di polmonite; bloccato a letto per un lungo periodo, ha l’angoscioso presentimento che non potrà più dedicarsi a quanto gli sta a cuore: aiutare i poveri, coltivare amicizie, proseguire gli studi. «Un po’ alla volta – racconta – avvertii la necessità di partecipare alle messe che il movimento, ancora non approvato dalla Chiesa, organizzava nelle catacombe di Roma, i posti frequentati dai primi cristiani». Lì una sorta di luce interiore gli fa comprendere che altro è il sacerdozio dono di Dio, altro è Dio stesso. Ricorda una pagina di Chiara Lubich che parla di Gesù che cammina, prega stando in mezzo alla gente, senza schemi né strutture. Quest’immagine di Cristo che “passa” lo avvicina definitivamente alla nuova spiritualità da poco conosciuta.
«Devo ammettere – confida – di aver sperimentato anche tanta fiducia da parte di chi era più esperto di me: mi fu proposto infatti di incaricarmi delle comunità dal sud di Roma fino a Napoli… ed io non volevo deludere i miei amici. Certo, da parte mia ci sono state debolezze, errori, oscurità… ma contemporaneamente l’amore di Dio soleva manifestarsi come luce, sì che l’incontro con le persone era molto spesso di arricchimento. Non ricordo nessuno dal quale non abbia ricevuto qualcosa; anche se ho la certezza di aver sempre cercato di dare anch’io».
Per lui l’esistenza umana è un «cercare di stabilire rapporti che tendano all’eternità». A proposito del suo soggiorno a Tolosa, che ricorda come un periodo di gioia e di pienezza: «In Francia ho ricevuto tanto a contatto con una mentalità così ricca e sottile, ma ho avvertito anche il pericolo dell’estrema razionalità e dell’estrema capacità critica: aspetti che, allo stesso tempo, mi attraevano e in certi momenti mi offuscavano».
 
Impossibile riassumere le tante impressioni ed esperienze vissute negli anni trascorsi in America Latina. Quando gli chiedo di definire questa regione dal suo punto di vista, sottolinea «il grande potenziale, la ricchezza umana soggiogante. Se la Francia mi aveva appagato con la perspicacia, il gusto per l’analisi, la severa razionalità, l’America latina mi ha permesso di incontrarmi con uomini e donne nelle loro difficoltà e contraddizioni ma con cuori vivi, capaci sempre di amare e perdonare. Persone non legate a ideologie, ma aperte agli altri, al di là dei propri limiti personali. In questi Paesi l’amicizia costruisce legami che durano per sempre».
Il quadro che ne dà Nuccio è quello di una umanità concreta, viva e sofferente, ma capace di affrontare la vita ed essere allo stesso tempo sensibile al soprannaturale.
Sulla sua amata Cuba racconta: «Direi che la dimensione spirituale non è espressa pienamente solo dalla religiosità popolare, che è piuttosto esteriore; c’è un'altra dimensione più profonda e autentica che, credo, risponde meglio ai piani di Dio».
Per qualche anno è tornato a soggiornare in Europa ed ha avuto l’occasione di girare mezzo mondo. All’invito di riassumere in una frase quel periodo, risponde: «L’Europa è unica, ti abbellisce l’intelligenza. Ho ricevuto tanto, anche dalla mentalità asiatica, dalla sua enorme e profonda capacità di silenzio e di ascolto. In Africa e Medio Oriente mi è parso di intravedere il più profondo senso di famiglia tra le persone, nei rapporti. Si tratta di molteplici sfaccettature che mi hanno edificato come uomo e delle quali sarò sempre grato».

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