Ciò che ho imparato da Ka

Briciole di sapienza da un giovane senegalese incontrato in ospedale.
Articolo

Ho conosciuto Ka lo scorso ottobre in ospedale. Era stato ricoverato nella stessa camera dell’amico al quale andavo a far visita da qualche mese. Ka, un giovane senegalese molto intelligente, creativo e indipendente, era spaventato per questa sua prima, inaspettata esperienza di ammalato. Per dargli coraggio, mentre attendeva gli esiti dei suoi esami, l’amico ed io lo abbiamo coinvolto nel nostro clima festoso e fraterno. E in cambio, Ka ci ha donato briciole di sapienza. Quando siamo all’estero – ci ha detto ad esempio – noi siamo ambasciatori del nostro Paese. Io qui in ospedale sono l’ambasciatore del Senegal. Se mi comporto bene, tutto il Senegal è onorato; diversamente, danneggio tutti i senegalesi Un’altra volta: Senza aspettare di ricoverarsi, è bene recarsi in ospedale a far visita agli altri ammalati e al cimitero. All’ospedale, perché quando si esce si apprezza di più quel dono di Allah che è la salute; e al cimitero perché lì ci ricordiamo di essere tutti uguali e, tornando nella società, possiamo vivere con giustizia. Quando mi sveglio – ci confidava ancora – prima di toccare terra con i piedi ringrazio Allah perché non mi ha preso durante la notte e mi concede un’altra giornata da vivere. A Ka la diagnosi è stata comunicata senza mezzi termini: Lei ha un tumore maligno, non operabile . Quando l’ho saputo sono rimasto anch’io senza parole. Ci siamo appartati e abbiamo pianto insieme a lungo. Ottenuto un permesso per poter rivedere la sua bambina di quattro anni in un paese vicino, mi sono offerto di accompagnarvi Ka. Col senno di poi ho capito che il mio amico aveva un programma ben preciso. In assenza della moglie, al lavoro come operaia, siamo andati al nido a prendere la figlia, una bambina bella e vivace. Ritornati in città, ci siamo recati da Betty, una sua amica sposata. Il marito, spesso all’estero, lavorava in una multinazionale. Mentre la bimba di Ka giocava in un’altra camera, lui informava l’amica della diagnosi appena ricevuta. Betty, incinta di sei mesi, ha raccontato a sua volta: Per delle complicazioni sono stata ricoverata nel reparto maternità. Mi hanno mandata a casa a riflettere durante questo fine settimana e devo rientrare lunedì con una risposta, una decisione precisa. Mi hanno comunicato che la bambina nascerà cerebrolesa, e qui non possono farmi al momento alcuna operazione. Disperata, ma senza mai pronunciare la parola aborto, ha proseguito: Non è tanto per noi, è per lei che sarà sempre ridotta così… Ka, dimmi cosa ne pensi, cosa devo fare. Come una donna in certi momenti può sentirsi tremendamente sola! Addolorato per questo, nel mio intimo ho pregato per Betty e per quanto Ka si apprestava a dirle. Con semplicità e convinzione, il mio amico ha risposto: Cara Betty, Dio-Allah (espressione che Ka usava, penso, per rispetto verso me, conoscendomi come un cristiano praticante) prima ci prepara il destino e poi ci fa nascere. Anch’io ho il mio destino che immaginavo in un certo modo e che oggi invece mi hanno spiegato diverso…. Poi, indicando il ventre dell’amica: Anche la tua bambina ha già il suo, perché Dio-Allah l’ha creata e con te la sta facendo nascere. Cara Betty, non uccidere tua figlia, non si uccidono i bambini. Rasserenati un po’, dopo aver riportato la bambina a casa siamo rientrati in ospedale. Sabato e domenica Ka ha avuto un permesso per tornasene a casa. Lunedì sera l’ho incontrato di nuovo e sono rimasto con lui fino a mezzanotte. E la decisione presa da Betty? Ha deciso di far nascere la figlia – mi ha risposto – e per questo l’han- no portata con urgenza al Sant’Orsola di Bologna, più attrezzato per la complessità dell’intervento. Così, a soli sei mesi, è nata Aissa: pesava appena settecento grammi, ma non era cerebrolesa! Assieme alla mamma sarebbe rimasta tre mesi in terapia intensiva neonatale. Nei giorni successivi, ricordando l’evento, ho detto a Ka: Pensa, hai contribuito a far nascere questa bambina. E lui: Ma anche tu, fratello Frank, hai contribuito. Insieme abbiamo concluso: Grazie a Dio, sukran Allah!. Ka è stato poi indirizzato anche lui al Sant’Orsola di Bologna, dove l’ho accompagnato per un’eventuale operazione. Essendo però troppo incerte le prospettive, lui ha deciso di ritornare in Senegal per sottoporsi alle cure tradizionali della sua gente. Intanto, trovandoci lì, ne abbiamo approfittato per andare a vedere Aissa. Sull’ascensore abbiamo incontrato il primario che l’aveva fatta nascere. Aissa è la nostra mascotte e la gioia di tutti – ci ha detto con entusiasmo -. È una combattente, una vera leonessa! Pensate che quando nascono così immature, per aiutarle a respirare dobbiamo intubare loro il naso. Lei invece non ne ha avuto bisogno. Ka un giorno mi ha detto: Fratello Frank, lo sai che tu non fai grandi cose, vero?. Certo che lo so. Ero perfettamente d’accordo con lui: finalmente uno che mi capiva, che non mi lodava tanto per dire. Nel Corano – ha continuato l’amico -, c’è scritto che Allah sceglie lui i suoi profeti ed altre persone con un destino speciale per realizzare una sua volontà particolare. Siccome non sei un profeta, sei una di quelle persone scelte da Allah. Dentro di me subito è riecheggiata una frase tratta dal Vangelo di Giovanni, che considero un mio programma di vita: Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate, portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Un altro giorno, io che mi ritengo solo un pennello in mano all’Artista, mi sono sentito confermare questo da Ka: Frank, tu sei, tu sei… non mi viene la parola giusta. Ecco: tu sei un telecomando in mano ad Allah. Prima di partire per il Senegal, in un estremo tentativo di curarsi, abbiamo fatto un patto: ogni giorno io avrei pregato per lui perché fosse un bravo musulmano e lui per me perché io diventassi un bravo cristiano. Alla moglie che restava in Italia con la bimba a lavorare, ha detto: Penso e spero di tornare presto guarito. Ma se non dovessi tornare, tu e nostra figlia state tranquille: di voi avrà cura Allah molto meglio di me. Intanto, col mio cellulare mi tengo in contatto con una rete di persone amiche che aggiorno regolarmente sulla vicenda di Ka e che pregano per lui e per la piccola Aissa.

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