Ciò che fa la comunità
Quando, ancora durante la Seconda guerra mondiale, Chiara Lubich lesse per la prima volta il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, ebbe la certezza che vi era in quel testamento di Gesù – Che tutti siano uno (1) – il manifesto del movimento che stava nascendo attorno a lei e alle sue prime compagne. Il piccolo gruppo di ragazze aveva coscienza della difficoltà, se non della impossibilità, di attuare un tale programma. Tuttavia si sono sentite spinte a chiedere a Gesù di insegnarglielo e gli hanno offerto le loro vite perché egli lo potesse realizzare. È sempre apparso significativo agli occhi di Chiara che Gesù abbia rivolto al Padre la sua preghiera per l’unità dopo aver istituito l’Eucaristia che la rende possibile. È per mezzo suo, infatti, che i cristiani possono essere uno tra loro come lo sono il Padre e il Figlio. Tutta la tradizione della chiesa lo dice con forza: l’Eucaristia è il sacramento dell’unità, fondendoci in uno con Cristo, ci unisce gli uni agli altri. La comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio, su cui si fonda la Chiesa, sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte dall’Eucaristia (2). È nella logica evangelica che coloro che si sentono chiamati a lavorare per l’unità si rivolgano a Gesù Eucaristia che solo la può realizzare. I focolarini l’hanno avvertito sin dall’inizio del loro iter: come i bambini appena nati si nutrono al seno materno istintivamente, così le persone che li avvicinavano cominciavano spesso ad accostarsi all’Eucaristia, anche quotidianamente. L’ho sperimentato pure io in prima persona. Avevo 17 anni quando sono venuto a contatto con dei giovani di questo movimento in Belgio. Ero appena uscito da un periodo di dubbi e di ricerca. Mi è bastato vivere per alcuni mesi la Parola di vita che essi mi davano perché sentissi l’attrattiva della comunione. Ricordo ancora la mia gioia alla lettura della descrizione che Chiara faceva di questo fenomeno: il neonato alla nuova vita, frutto del vangelo dell’unità, è spinto dallo Spirito al cuore della chiesa e a cibarsi del nettare più preziosa che essa abbia (3). Riconciliazione Se ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te (4). La partecipazione frequente e attiva alla celebrazione eucaristica è dunque insita alla spiritualità dell’unità. È un contributo sostanziale alla realizzazione di uno degli obiettivi maggiori del rinnovamento liturgico promosso dal Vaticano II (5). Tuttavia non è ancora lì la principale caratteristica dell’amore che i focolarini nutrono per l’Eucaristia. Questo si distingue soprattutto per la loro attenzione ad avvicinarsi ad essa uniti nell’amore reciproco. Infatti, sin dall’inizio Chiara e le sue compagne hanno ravvisato nella concordia la condizione richiesta per poter partecipare all’Eucaristia in modo veramente degno e fruttuoso. Era una conseguenza logica della scoperta che avevano fatto della necessità di mettere l’amore reciproco a base della loro vita cristiana. Chiara attribuisce ancora allo Spirito Santo il ricordo costante che il primo gruppo aveva della frase del vangelo che invita a riconciliarsi con il fratello prima di presentare la propria offerta all’altare. Attira sempre l’attenzione sul fatto che Gesù chiede di rimediare al male prodotto, non solo al colpevole, ma anche a colui che ha subìto il danno. Gesù, infatti, dice: Se tuo fratello ha qualcosa contro di te…. L’attuazione di questo suo comando ha spesso degli effetti sorprendenti. Per metterlo in pratica occorre avere veramente un cuore nuovo, che non bada a ragioni o a torti, ma sente soltanto il dovere, perché si è cristiani, che l’unione perfetta sia sempre salva (6). Il patto di unità Un’esperienza dei primi tempi del Movimento dei focolari dice meglio di qualunque altra l’importanza che ha l’Eucaristia nella spiritualità dell’unità. Nel settembre 1948, Igino Giordani, che aveva già una cinquantina di anni, era sposato e padre di quattro figli, aveva conosciuto Chiara. Era un grande ammiratore di Caterina da Siena. Ricordando il modo in cui i discepoli della santa si legavano strettamente a lei, egli propose un giorno a Chiara, che aveva allora solo 29 anni, di farle un voto di obbedienza in modo da santificarsi con lei. Chiara gli rispose di chiedere piuttosto a Gesù Eucaristia di unirli come lui desiderava e poteva, sul nulla d’amore dei loro singoli cuori. Era il 16 luglio 1949, e quel giorno, dopo la comunione, Dio manifestò loro d’esser immedesimati col Cristo e, perché tali, uscì dal loro labbro, posta dallo Spirito, la parola Abba, Padre, e si sentirono immersi nel seno del Padre (7). Chiara stessa parla di questa esperienza dicendo che aveva l’impressione che il Signore aprisse ai loro occhi il Regno di Dio, che era fra di loro: la Trinità che abita in una cellula del corpo mistico (8). Sulla base dell’amore reciproco vissuto, l’Eucaristia aveva prodotto in loro tutto il suo effetto: l’incorporazione a Cristo e per lui e in lui l’ingresso nel seno del Padre. Era una grazia insolita poterlo in qualche modo afferrare. L’indomani Chiara invitò le sue prime compagne a sigillare pure loro questo patto di unità con lei e Giordani. Dopo la comunione ebbe l’impressione che il loro piccolo gruppo era tutt’intero nel seno del Padre e che erano tutti uno, in un modo tale che chiamò questo gruppo l’Anima. Quest’unità che l’Eucaristia realizzava tra loro ricorda ciò che già sant’Agostino scriveva: La tua anima non è più la tua, ma di tutti i fratelli e anche le loro anime sono tue o, meglio, le loro anime, insieme alla tua, non formano più se non un’anima sola, l’unica anima di Cristo (9). Fonte e culmine Forte della sua esperienza personale, ma anche della testimonianza unanime della tradizione della chiesa, Chiara e i focolarini al suo seguito hanno sempre considerato la messa e la comunione con Gesù Eucaristia come il momento più importante della loro giornata. È lì che uniscono al sacrificio di Cristo l’offerta della propria vita al Padre, offerta che traducono nei fatti compiendo il meglio possibile la volontà di Dio nell’attimo presente. È lì che rinnovano quotidianamente la loro promessa di amarsi gli uni gli altri come Cristo li ha amati. È lì soprattutto che Gesù, il Risorto, rinnova la loro unità con lui e tra loro e li rende atto in questo modo ad essere a loro volta Eucaristia per gli altri. La messa è così realmente la fonte e il culmine della vita e della missione, secondo la nota espressione del concilio ultimo, ripresa come titolo del recente sinodo dei vescovi. Va tuttavia sottolineato che nella spiritualità dell’unità l’incontro personale di ognuno con Cristo nell’Eucaristia è sempre anche il momento per eccellenza della comunione con i fratelli. Non si concepisce un’unità con Cristo che si limiterebbe al rapporto con lui senza coinvolgere i fratelli. Similmente la comunione fraterna è sempre, anche se in modi diversi, orientata all’unità con Cristo. Quando l’Eucaristia è vissuta in questa prospettiva dà vita a delle comunità cristiane che sono vere famiglie. Essa rivela il suo potere di trasformare un brano di umanità in primizia del Regno dei Cieli. Gesù non rimane confinato nei tabernacoli, ma trova le sue delizie nella compagnia degli uomini. La chiesa si manifesta allora per quello che è nella sua essenza più profonda: corpo di Cristo, fraternità, unità, vita, comunione a Dio. Michel Vandeleene 1) Mt 18, 20; 2) Catechismo della Chiesa cattolica, n° 1325; 3) Chiara Lubich, Scritti spirituali/4, Città Nuova, Roma 1981, p. 56; 4) Mt 5,23-24 e Mc 11, 25; 5) Cf. Sacrosanctum Concilium 48; 6) Chiara Lubich, La vita un viaggio, Città Nuova, Roma 1985, 150-151; 7) Chiara Lubich, Scritti Spirituali/4, ibid., p. 39; 8) Chiara Lubich, Scritti Spirituali/3, Città Nuova, Roma 1979, p. 44; 9) Agostino, Lettera 243; 10).