Cinque più uno
Durante la guerra in Libano – erano gli ultimi anni Settanta -, una coppia di amici maroniti di quel paese aveva deciso di rispondere alle violenze di quei frangenti con un atto coraggioso e gratuito, che amici e conoscenti tacciarono invece d’incosciente: avevano deciso di mettere al mondo un altro figlio, il sesto. Mi colpì, quella notizia, perché mi sembrava introdurre un elemento assolutamente inatteso nella logica del sopruso e della guerra, lasciando a bocca aperta coloro che erano prigionieri di quella stessa logica. Mi torna d’improvviso in mente questo episodio mentre mi trovo ad assistere al battesimo del sesto figlio di una coppia di amici. Che coraggio: concepire e dare alla luce sei figli in nove anni, in una città come Torino che sembra soffrire non poco di incertezze economiche e sociali. Osservo nel battistero improvvisato accanto all’altare il papà e la mamma, oltre ai padrini, tutti compunti, mentre i cinque fratellini del nuovo cristiano si divertono un mondo nel sottoporre a dura prova la resistenza psichica e spirituale del parroco: il coro appare alla loro fantasia bambina una magnifica pista ove scatenare la propria vivacità. Nonostante tutto la cerimonia prosegue rapida ma solenne, mentre fortunatamente il battezzando, almeno lui, non emette il benché minimo grido di protesta, limitandosi ad afferrare con le manine la boccetta dorata di crisma battesimale che inavvertitamente il celebrante avvicina al piccolo. Gli astanti – in massima parte semplici fedeli che assistono alla messa domenicale – si divertono a quelle scene ormai così insolite. Colgo qua e là espressioni spontanee, ma proprio per questo più vere, non filtrate: Sembra di essere tornati indietro di cinquant’anni. Anche noi eravamo sei figli , esclama un nonnino, stringendo affettuosamente il braccio alla consorte, mentre una giovane mamma d’una insolente belva di due anni che non ne vuole sapere di star calma, compiange la collega: Io con un solo bambino non riesco più a fare nulla… Che incoscienza! . Ma il marito la corregge: Non penso proprio che abbiano messo al mondo il loro sesto figlio per incoscienza: mi hanno detto che entrambi i genitori sono medici. E una distinta cinquantenne imbellettata e profumata: Quasi quasi mi commuovo; questi sono spettacoli che la tivù dovrebbe mostrarci più di frequente. Non le paranoie di tanta gente strana e solitaria che pensa di essere normale. La cerimonia scivola via tra un pianto e una preghiera, una elevazione e un grido liberatore. Il rinfresco nella sala parrocchiale – a cui tutti sono invitati, non solo amici e parenti – risulta un gran festival di fanciulli e di nonnini, di coppie giovani e meno giovani. Nelle conversazioni torna e ritorna quel numero – sei, cinque più uno – che appare meta irraggiungibile ai più, auspicio o profezia, dipende. Tra le altre dichiarazioni, un dialogo tra padre e figlio mi resta impresso nella mente. Un ragazzino, un figlio unico, avrà cinque anni, si rivolge al papà: Perché mi avete lasciato solo?. Ma non sei solo, caro, ci siamo noi due, mamma e papà, che non ti lasceremo mai, ribatte il genitore. E il piccolo, in tono definitivo: Sono un giocattolo, io, nelle vostre mani. Questi sei, invece, sono veri bambini. Mi sembra allora di aver colto nello sguardo di quel papà la decisione di fare un altro figlio. Almeno uno.