Cinquale, una piccola frazione capace di grande amore
Qualche tempo fa, mentre prendevo un caffè con alcune amiche, una di loro se ne è uscita raccontando: «Ma lo sapete che cosa mi ha detto un’amica l’altro giorno? Che vicino a Forte dei Marmi, un intero paese si è mobilitato per aiutare una mamma che si è ammalata di SLA e la sua famiglia! Sembra che abbiano organizzato addirittura dei turni in ospedale, letteralmente d ogni ora del giorno e della notte, davanti allo sguardo incredulo di medici e infermieri!». La cosa mi incuriosisce, e di amica in amica, riesco a risalire telefonicamente fino a Maria Assunta, fisioterapista che, insieme ad un’altra amica, Laura, sono state le menti organizzatrici di questa iniziativa.
«Io abito a Cinquale, una frazioncina di circa duemila abitanti, vicino a Forte dei Marmi. Qualche anno fa, un caro amico, Adriano, compagno di scuola di mio fratello, con cui siamo cresciuti insieme, è tornato a vivere qui con sua moglie Silvia e i due figli, in una casa proprio davanti alla mia. Devi sapere che in parrocchia, quella di San Giuseppe Artigiano, abbiamo cominciato dei percorsi di fede per genitori e così, con sua moglie Silvia ci siamo conosciute e ne è nato un rapporto più profondo di amicizia».
Maria Assunta continua il suo racconto spiegandomi che solo due anni dopo, Silvia, che oggi ha 48 anni, inizia a manifestare i primi segni di una malattia degenerativa, che poi si è scoperto essere la SLA. «Così, per il rapporto che avevo con lei e per la mia professione, ho iniziato a seguirla passo passo durante l’evoluzione della malattia che, fin da subito, si è presentata rapida e debilitante».
Nell’arco di un anno, la situazione precipita velocemente. Silvia non riesce più a parlare, viene alimentata con la PEG, non riesce a mantenere la posizione eretta, non muove più le gambe ed è costretta a vivere a letto o in carrozzina. «A parte i parenti, la famiglia di Silvia e Adriano è da sola a vivere questo dramma. Io li andavo a trovare spesso… anche mettendo a disposizione la mia professionalità. E due volte alla settimana mi accompagnava Laura, un’altra amica della parrocchia, che si era resa disponibile per stirare».
Eppure, a Maria Assunta sembra che la propria buona volontà e quella della sua amica non possano bastare ad aiutare Silvia in questo momento così difficile della sua vita. Bisognerebbe, pensa, circondare questa famiglia di amore, perché non si sentano abbandonati, in balia della malattia.
«Parlando con Laura, ci è venuta un’idea: coinvolgiamo don Maurizio, il nostro parroco! Così, andiamo da lui e gli raccontiamo quello che sentiamo, il nostro desiderio di fare qualcosa di più per questa famiglia. Lui, subito, capisce tutto e si mette all’opera. La domenica successiva, dopo la Messa convoca tutti i gruppi parrocchiali: sia giovani che meno giovani e creiamo un gruppo WhatsApp per suddividerci i turni di assistenza».Così, comincia l’originale esperienza della parrocchia di Cinquale.
«Ognuno ha messo a disposizione il proprio tempo e questo ha permesso al marito di Silvia di poter seguire i suoi figli, di fare le varie commissioni, senza che lei rimanesse mai da sola».
L’amore e la vicinanza dei compaesani si intensifica quando Silvia si ammala di polmonite e viene ricoverata in ospedale.
«Per tutto il periodo di degenza al don Gnocchi, che è durato all’incirca un mese, abbiamo continuato ad essere presenti alternandoci al suo capezzale. Tanto che gli infermieri, ad un certo punto, ci hanno chiesto se venivamo pagati!».
Ora, Silvia è ricoverata in un’altra struttura del Don Gnocchi, ha subito una tracheotomia e il suo quadro clinico va peggiorando. Ma la gente di Cinquale continua a custodire lei e la sua famiglia, con amore.
«E sai che c’è?» mi confida Maria Assunta «Che ad un certo punto ci siamo accorti che dovevamo ribaltare il nostro punto di vista per vedere quello che stava succedendo nel suo insieme. Nel dare il nostro tempo, c’era stato anche un ritorno d’amore per noi. Il dono di Silvia per noi: nell’occuparci di lei, siamo diventati più uniti. Ora, in paese, in parrocchia, siamo più vicini, ci si vuole più bene, siamo più coinvolti l’uno nella vita dell’altro. Ora siamo davvero una comunità».