Cinema, Venezia premia i nomadi
Disciplinata, controllatissima, red carpet per soli addetti, una buona distribuzione di film, non troppi per fortuna: ecco Venezia 2020 alla 77a edizione.
Le donne grandi protagoniste. Non solo nella giuria presieduta con dolce fermezza da Cate Blanchett, ma per la presenza di artiste come Tilda Swinton, di numerose registe, di frequenti e notevoli storie di donne, dalle madri alle utopiste alle lottatrici.
Nomadland innanzitutto: Leone d’oro alla cino-americana Chloè Zaho, 38 anni, nel film cucito addosso a quella carismatica attrice che è Frances McDormand.
Una storia che dimostra l’interesse del cinema per un tema oggi molto sentito, cioè gli emarginati.
Fern, dopo un crollo economico, lascia casa e fattoria, partendo per un viaggio in furgone. Incontrerà i nomadi – etnia sempre malvista -, ma da loro apprenderà molto sulla vita, sull’umiltà negli sterminati paesaggi dell’Ovest americano.
Film capolavoro? Non si direbbe, ma molto dignitoso certamente. Del resto, quest’anno i film-capolavoro non ci sono stati, ma di valore sicuramente. Ci si riferisce al nostro Notturno di Gianfranco Rosi, immeritatamente non considerato (anche il film Miss Marx della Nicchiarelli meritava una menzione).
La Coppa Volpi come miglior attore è andata a Pierfrancesco Favino per il suo ruolo in Padrenostro (ma i due ragazzi attori sono stati più bravi): un quasi-premio alla carriera, del resto meritato, più che per questa interpretazione.
Miglior attrice Vanessa Kirby per Piece of woman, storia di una madre che perde il figlio appena nato e deve superare il dolore, protagonista anche di un altro film – inutile provocazione – ossia The word to come, storia di un amore lesbico negli Usa dell’800.
Nessun premio – ed è un peccato – invece è toccato al forte Quo vadis Aida?, vicenda ambientata durante la guerra serbo bosniaca di una madre che lotta per salvare la famiglia.
Meno male che il premio Mastroianni per gli emergenti è andato a Sun Children dell’iraniano Majid Majidi, storia di ragazzi sfruttati e (ir)redenti, assai commovente e autentico, come il Premio speciale della Giuria a Dear Comrades di Konchaloski e alla vicenda dell’eccidio di operai nella Russia del 1962. Premi anche a Kurosawa e al truculento (Leone d’argento) Nuevo Orden del messicano Michel Franco.
Come si nota, i riconoscimenti vanno a storie dolorose di emarginazioni, lutti, e solitudini di un mondo ormai frammentato e unito dalla sofferenza comune ma senza sbocchi. Tematica costante, che spiega forse anche il Leone d’oro, premio più “politico” (anche agli Usa assenti…) che artistico?
L’Italia è rimasta male. Anche il premio nella sezione Orizzonti per la miglior sceneggiatura a I Predatori di Pietro Castellitto – figlio d’arte…- non compensa l’esclusione degli altri lavori. Onestamente, Rosi a parte, bisogna anche ammettere che il nostro cinema non appare molto innovativo quanto a soggetti e tematiche: è ancora ripiegato su sé stesso, gli manca il salto d’aquila che lo renda universale.
Ma il premio più autentico dell’edizione 2020 va forse alla Mostra stessa, cioè al coraggio, all’audacia dimostrata nel volersi ad ogni costo, senza problemi, ridimensionata certo come presenze, e con un’aura di sospensione settembrina, ma godibile cinematograficamente più di altre volte. E piena di progetti futuri. Un bell’esempio per le altre nazioni.